Gli «spaccaossa», li chiamavano. Erano senza scrupoli, che avevano il ruolo più cruento: spezzare le ossa alle vittime. Per frantumare gambe, piedi, braccia, femore usavano pesi in ghisa, quelli utilizzati per il fitness, spranghe di ferro, trolley riempiti con pietre. Il macabro rituale, che loro chiamavano il «lavoro» come emerge dalla intercettazioni, veniva fatto in magazzini di periferia allestiti con tavole di mattoni, dove venivano condotte le vittime reclutate nei bassifondi per qualche centinaio di euro e con la promessa di avere altri soldi in futuro. Doloranti e sanguinanti i malcapitati venivano poi abbandonati in strada per la messinscena di un falso incidente con tanto di complici alla guida dei mezzi usati per simulare i sinistri e finti testimoni. Quello scoperto a Palermo dalla polizia è uno spaccato sconcertante di degrado e criminalità. Gente senza scrupoli – tra cui avvocati, medici e una infermiera dell’ospedale Civico – pronta a tutto pur di fare soldi, con le vittime di questa terribile storia «ingaggiate» tra migranti, tossicodipendenti, persone disabili, donne in difficoltà costrette a vivere in comunità, padri senza lavoro ricambiati per le ossa rotte con 20 euro, «così va a comprare il latte al figlio».

C’ERA ANCHE UN TARIFFARIO dell’orrore: da 300 euro per la frattura di un arto fino a mille euro per quelle scomposte con la rottura di tibia e perone; mentre due organizzazioni, che avrebbero agito indisturbate per anni con la complicità di avvocati e sanitari, incassavano centinaia di migliaia di euro dalle compagnie di assicurazione. I pm della Procura di Palermo hanno iscritto nel registro degli indagati sessanta persone, undici quelle fermate. Il blitz è scattato per il pericolo di fuga di alcuni degli indagati, come emerge dall’ordinanza firmata dal gip: quasi 300 pagine zeppe di intercettazioni telefoniche e ambientali e delle testimonianze di alcune delle vittime che hanno svelato il macabro sistema messo in piedi dalle due organizzazioni criminali che si spartivano i quartieri della città ma anche avrebbero agito anche a Torino e Milano.

GLI INQUIRENTI HANNO ricostruito pezzo dopo pezzo il puzzle partendo dalla morte di un tunisino, Yakoub Hadri, trovato cadavere in strada nel gennaio del 2017. Quello che sembrava un incidente stradale senza colpevoli in realtà si scopre, ora, è stato un omicidio. È stata la compagna del tunisino, con la sua testimonianza, a incastrare alcuni dei componenti delle organizzazioni. La donna ha riferito che durante il riconoscimento della salma è stata avvicinata da due uomini che, restituendole i documenti del compagno, le avevano proposto di intraprendere una richiesta di risarcimento dei danni del sinistro in cambio del 50% della somma che avrebbe ottenuto. L’autopsia ha poi rilevato che il tunisino è morto per arresto cardiaco dopo una serie di fratture a tibia, perone e omero. Decisiva per gli inquirenti una intercettazione. «Hanno le prove ma… mi hanno fatto vedere la fotografia hanno le prove ma…», dice Francesco Faija alla madre, uno dei fermati. Che qualcosa non quadrasse in quell’incidente gli inquirenti lo capirono subito. Tanto da assegnare a un consulente la ricostruzione del presunto sinistro poi risultato incompatibile con le fratture della vittima. «Che prove hanno che tu hai ammazzato a quello? Francesco com’è che si è svolta questa cosa ..boh!…», gli chiedeva la madre mentre erano in auto. Per la polizia è la conferma del ruolo dell’uomo, accusato oltre che di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, di omicidio preterintenzionale insieme a Francesco La Monica e Umberto Impiombato, l’uomo che sarebbe stato alla guida dell’auto che avrebbe travolto lo scooter del tunisino.

NEL PROVVEDIMENTO DI FERMO dei pm Alfredo Gagliardi, Daniele Sanzone e del procuratore aggiunto Salvatore De Luca si parla di violenze «spaventose» sulle vittime. Le associazioni, scrivono i magistrati, erano strutturate in maniera «verticistica»: alla base c’è chi si occupava di arruolare le vittime dei falsi incidenti, persone «cercate in contesti di degrado e povertà» in particolare nella zona della stazione centrale: ed in questo contesto, scrivono i pm, «colpisce l’estremo cinismo degli associati che privilegiavano l’avvicinamento di persone in disastroso stato economico, nonché sovente colpite da ritardi psichici o da tossicodipendenza».

LE VITTIME VENIVANO costantemente raggirate: la promessa di avere quote dei rimborsi assicurativi non veniva mai mantenuta. O, nella migliore delle ipotesi, ottenevano solo una piccola parte. Una volta escogitato il falso incidente iniziavano le violenze vere e proprie: le vittime venivano trasportate in appartamenti o magazzini e affidati «alle cure dei sodali più violenti e pericolosi, incaricati della spaventosa fase della frattura delle ossa». Ecco come avveniva. «Le vittime – scrivono i pm – vengono blandamente anestetizzate con del ghiaccio o con farmaci, gli arti vengono appoggiati in sospensione tra due blocchi di pietra o cemento e poi viene lanciata con violenza, sulla parte dell’arto sospesa, una borsa piena di pesi in ghisa o di grosse pietre in modo da provocare fratture nette e possibilmente scomposte, poiché produttive di un più ingente risarcimento». A quel punto le vittime, «in preda a lancinanti dolori» venivano lasciate in strada, dove altri appartenenti all’organizzazione seguivano le ambulanze negli ospedali per accertarsi che tutto andasse secondo i piani.