La scena è simile a quella dell’ultima serie della Casa di Carta, ormai celebre serie Netflix. Solo che anziché fondere oro nella stanza blindata del Banco di Spagna e vendicare Nairobi uccisa dal terribile Gandìa, qui si producono litri di saponi e altri igienizzanti, con una missione ben precisa: salvare la capitale del Kenya dalla pandemia covid-19.

A iniziare dagli slum, le grandi baraccopoli con una popolazione media di circa 200mila persone, rintanate dentro quattro mura di fortuna, tra mattoni e lamiera, con servizi igienici ricavati in minuscole stanzette. Spesso senza nemmeno un lavandino o un punto di accesso all’acqua. Con l’aggravante che, in questo periodo, l’uso dei sanitizers (sapone per le mani e per il viso) è raccomandato a tutti, ma sugli scaffali dei negozi sono merce rara. O hanno un costo esorbitante.

Per questo un gruppo di ragazzi ha deciso di autoprodurli e destinarli ai loro concittadini della periferia di Korogocho, tra gli slum più popolosi della città. Sono guidati da due esperti individuati dalla Tangaza Catholic University, e coordinati dalla Calabria, via Skype, dal “professore” Giuseppe Morelli, 38 anni, catanzarese, referente della ong North-South Cooperation, che negli slum di Nairobi contribuisce al progetto University Mtaani, «università di strada» in lingua swahili, con la stessa Tangaza e i missionari comboniani. Il tutto cofinanziato dal ministero degli Esteri del Lussemburgo, dove ha sede la ong.

In Africa finora la pandemia non ha avuto gli stessi tragici effetti visti in Europa e negli Stati uniti. In Kenya l’Oms ha registrato finora circa 300 casi e 14 morti.

Ma un mezzo lockdown è scattato anche lì, almeno dalle 18 alle 5. Appena è stato deciso il blocco delle attività lavorative e didattiche «abbiamo risposto subito alla richiesta dei nostri studenti dallo slum, per sostenere la loro comunità con saponi e pacchi alimentari, beni ormai introvabili», racconta Morelli. Sono stati organizzati interventi ad hoc anche per aiutare le famiglie di Korogocho, chiamando a raccolta la squadra “Mtaani” e mettendola in condizioni di produrre igienizzanti da distribuire a un centinaio di famiglie che hanno individuato i ragazzi stessi. Oltre ai sanitizers consegnano tre chili di farina, tre di riso e un litro di olio.

Tutto organizzato casa per casa, per evitare gravi incidenti come quello che si è verificato lo scorso 10 aprile a Kibera, il più grande slum del continente con circa 3 milioni di abitanti. Come riporta l’Ap, quando sono arrivate le derrate alimentari inviate dall’ex primo ministro Raila Odinga, leader dell’Orange Democratic Movement, destinate solo a coloro in possesso di apposite cards governative, si è scatenato un parapiglia: migliaia di persone che si sono precipitate, saltando l’una sull’altra nel disperato tentativo di accaparrarsi del cibo, con il bilancio di decine di feriti e due morti.

 

Kibera, Nairobi, 10 aprile 2020 (Ap)

 

A ciò si aggiunge l’insolita, o meglio, alcolica iniziativa dell’ex senatore Mike Mbuvi Sonko che – come riporta la Reuters – ha distribuito bottiglie di cognac Hennessy infilate dentro confezioni di riso e farina, rivendicando sui social che «anche secondo l’Oms l’alcool gioca un ruolo importante nella battaglia contro il coronavirus». Dichiarazione smentita, ovviamente, dalla World Health Organization.

Ma se il Covid-19 pare sotto controllo, le baraccopoli di Nairobi soffrono già da tempo di un virus forse ancor più incurabile, la grave ingiustizia sociale, come denunciano pure i missionari salesiani. Molte abitazioni sono prive di pavimento e a ogni pioggia si riempiono di fango, mentre i bambini crescono per strada giocando tra topi e liquami.