Ieri un tribunale di New Delhi ha disposto dieci giorni di custodia cautelare per Umar Khalid, 33 anni, già leader del collettivo studentesco di Jawaharlal Nehru University (Jnu) e da tempo figura di spicco del campo progressista indiano. Khalid era stato arrestato domenica a seguito delle indagini intorno ai riots di Delhi dello scorso febbraio, quando negli scontri tra ultrahindu e musulmani morirono 53 persone, con centinaia tra feriti e case e negozi dati alle fiamme.

L’attivista è accusato di cospirazione, istigazione alla rivolta, sedizione e omicidio. Secondo gli inquirenti, Khalid avrebbe avuto un ruolo centrale nell’organizzazione degli scontri di febbraio, grazie ai contatti intrattenuti con «organizzazioni radicali e sediziose».

A febbraio, sull’onda lunga di manifestazioni nazionali iniziate già alla fine del 2019, anche nella periferia nord-est di Delhi si erano tenute delle proteste pacifiche contro la legge per la cittadinanza (Citizen Amendment Act, Caa) introdotta dall’esecutivo guidato dal primo ministro Narendra Modi, giudicata discriminante nei confronti della nutrita minoranza religiosa islamica (200 milioni di persone).

Khalid, membro dell’organizzazione non-violenta United Against Hate, e altri attivisti e intellettuali di primo piano parteciparono ai sit-in e ai comizi prima che gruppi organici all’ultrainduismo militante mettessero a ferro e fuoco interi quartieri a maggioranza musulmana.

Secondo il governo, in quasi una settimana di scontri inter-comunitari il 77 per cento delle vittime civili era musulmano, tra l’85 e il 95 per cento delle proprietà danneggiate apparteneva a musulmani, e tutti i luoghi di culto danneggiati o completamente distrutti erano musulmani.

Nonostante queste evidenze, che si aggiungono a decine di video diffusi sui social network che documentano le responsabilità della destra hindu nelle violenze, le indagini si sono concentrate unicamente sugli attivisti e intellettuali vicini ai manifestanti anti-Caa.

In virtù di una controversa legge antiterrorismo promossa dopo gli attentati di Mumbai del 2009, che di fatto permette l’arresto di sospettati senza formulare capi d’accusa in sede legale, la polizia da mesi sta stringendo il cerchio attorno a chi si oppone pacificamente al governo in carica. La stessa polizia di Delhi è stata recentemente accusata da Amnesty International India di aver aiutato le frange della destra hindu durante gli scontri.

Oltre a Khalid, nei giorni scorsi sono emersi i nomi di altri attenzionati speciali: Sitaram Yechuri (presidente del Partito comunista indiano – marxista), Jayati Ghosh (economista e professoressa a Jnu), Apoorvanand (professore alla Delhi University) sono stati nominati durante gli interrogatori a membri dei collettivi studenteschi già arrestati. Per loro non sono ancora scattati avvisi di garanzia. Rahul Roy (regista) e Seba Dawan (documentarista) sono stati invece interrogati dalla polizia nella giornata di ieri.

I legali di Khalid hanno lamentato la vaghezza delle accuse rivolte all’attivista, rilevando come gli inquirenti non abbiano citato nessun contenuto specifico dei discorsi pronunciati pubblicamente da Khalid prima dei riots.
L’accusa ha invece giustificato la detenzione di dieci giorni per esaminare con Khalid un dossier sui riots lungo 1,1 milioni di pagine.