Roma, Torino, Bologna, da una parte. Milano e Napoli dall’altra. Le grandi città che il 5 giugno decideranno la vittoria o la sconfitta del presidente Renzi, al referendum sulle trivelle hanno votato diversamente rispetto alla media nazionale, 31,2. Di più le prime tre (il 34,7 a Roma, il 36,40 Torino, il 36,7 Bologna), di meno le altre due (29,8 Milano e 25,6 Napoli). E se i politologi negano che vi sia un rapporto fra il voto di domenica e quello di giugno, i politici si dividono. Per Roberto Giachetti, candidato sindaco di Roma per il Pd, che è andato a votare disobbedendo all’indicazione renziana, «non si può trarre alcuna indicazione politica». Invece per Stefano Fassina, che corre per la sinistra radicale, il risultato «indica uno spazio di espansione per noi. Nelle ultime elezioni Sel ha preso 63mila voti. Al referendum sono andate a votare 750mila persone. Se noi riuscissimo a intercettare un decimo di quell’elettorato per noi sarebbe un salto di qualità». Stesso ragionamento fa a Torino il candidato sindaco Giorgio Airaudo: «Qui c’è stato un voto di opinione con una campagna di gente che si è autoinformata senza strutture organizzative. Il risultato è un importante accumulo di forze che sicuramente precipiterà sulle amministrative». Ma Roma e Torino sono due città in cui i candidati a 5 stelle sono favoriti. Sarà la sinistra a raccogliere questo ’accumulo di forze’ ammesso che possa essere considerata così una sconfitta, e con una percentuale comunque molto lontana dal quorum?

Per il sondaggista Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè, in realtà il racconto della campagna referendaria passato sui media non si ritrova nei numeri. «I dati che avevamo da mesi sono rimasti sostanzialmente gli stessi nel corso della campagna referendaria. E poi nei risultati. Il che vuol dire che l’inchiesta di Potenza da una parte e l’appello al non voto di Renzi dall’altra, non hanno spostato molto». A parte il clamoroso risultato della regione Basilicata, l’unica a raggiungere il quorum (50,17%, 235mila votanti su 468.369), con il picco del 58 per cento a Potenza. Per Weber la cosa più interessante del risultato è il fronte dei votanti. «Un fronte trasversale, preoccupato dell’ambiente e non delle polemiche politiche, del quale possiamo ipotizzare una presenza importante di di elettori del Pd, intorno ai 3 milioni». Ma il dato, secondo Weber, non precipiterà nelle amministrative. Stessa convinzione per il politologo Roberto D’Alimonte, non solo sul collegamento con le amministrative, «non ce n’è nessuno, quei risultati saranno decisi da fattori locali», ma anche sull’astensione, «c’è una progressione storica perfettamente in linea con il precedenti, tranne il referendum sul nucleare e sull’acqua del 2011, ma lì era un caso speciale, il quesito arrivò subito dopo il disastro della centrale nucleare di Fukushima e produsse un’ondata di emozione. Renzi è stato anche fortunato: se lo sversamento del petrolio a Genova si fosse verificato un giorno prima i numeri sarebbero cambiati». In ogni caso anche per D’Alimonte l’appello di Renzi non ha spostato un granché.

Non stanno invece così le cose per il politologo Salvatore Vassallo, già vicedirettore dell’Istituto Cattaneo di Bologna e anche ex parlamentare. Vassallo guarda dentro l’astensionismo e la sua distribuzione nel paese e vede un altra storia: «C’è sempre stata una differenza nei tassi di partecipazione tra Nord e Sud. Nelle regioni più tradizionalmente civiche del Nord e nella zona rossa il tasso delle preferenze era molto più basso rispetto alle regioni del Sud, mentre quello di partecipazione ai referendum era molto più alto». Dunque, scorporando Puglia e Basilicata – considerate a questo giro due casi speciali per l’attivismo del presidente Emiliano e per l’indignazione dell’inchiesta sul petrolio, questa volta – come altre, per esempio nel 2003 sul referendum per l’estensione dell’art.18 – «le regioni più civiche e quelle della zona rossa hanno votato meno del Sud. È il non ’voto di opinione’, ed è sempre esistito. Ma questo non significa che queste persone non torneranno al voto alle prossime amministrative». L’astensionismo «consapevole e politicamente motivato» preoccupa l’opposizione, che ne ha fatto le spese domenica – ma non Renzi che al contrario ad esso si è appellato. Convinto di poterlo riportare alle urne al prossimo giro, con un semplice contrordine.