Lungo un filo teso da una parte all’altra di una stanza, al posto dei panni, sono appese fotografie, tutte di uomini bianchi. Sono immagini prese dai social, che lo stregone Baba tiene in mostra per fare il suo incantesimo: rendere questi uomini bianchi «meno cocciuti» nei confronti dei ragazzi che dal Ghana intrattengono con loro relazioni online spacciandosi per donne in cerca d’amore. Sakawa di Ben Asamoah, in programma alla decima edizione della rassegna Mondovisioni – che debutterà domani al festival di Internazionale a Ferrara e sarà poi in tour in tutta Italia a partire dall’8 ottobre – racconta infatti il diffusissimo fenomeno delle «truffe» online rivolte a uomini benestanti, perlopiù europei e statunitensi, adescati da chi in Africa ha fatto dei rapporti su internet – con frequenti richieste di soldi per i motivi più svariati – un vero e proprio lavoro.

In Ghana queste truffe si chiamano appunto sakawa, e sono così diffuse anche perché nelle discariche del Paese giacciono i nostri scarti tecnologici, vecchi computer da cui vengono estratti gli hard disk e recuperate le informazioni sui loro proprietari. Il fatto che gli stregoni si occupino della cocciutaggine dei bianchi che non vogliono pagare dà la misura di quanto il fenomeno sia diffuso, e penetrato in profondità nella vita quotidiana del Paese al pari del sogno di attraversare il mare e raggiungere l’Europa o l’America, come nel caso di uno dei protagonisti determinato a partire per Italia con i soldi ricevuti dai clienti.

Lo sguardo di Asamoah (ghanese lui stesso trasferitosi in Belgio) nega però il controcampo sui clienti e il loro mondo, che per i protagonisti rappresenta un sogno in grado di materializzarsi a sua volta – come gli amori fittizi – solo nell’universo virtuale, sulle street view di Google Earth che permettono di attraversare qualunque oceano.

I SITI di incontri hanno un ruolo centrale anche in un altro documentario nel programma di Mondovisioni: Leftover Women di Hilla Medalia e Shosh Shlam. Leftover, cioè «avanzi»: il modo in cui sono soprannominate le donne cinesi rimaste single oltre i 25 anni. Qiu Hua Mei, Xu Min, Gai Qi sono donne con una buona posizione: avvocata, conduttrice radiofonica, professoressa di cinema. Ma non hanno marito, e questo le espone non solo alla disapprovazione dei loro familiari ma a una pressione sociale generalizzata e fortissima: dopo che la politica del figlio unico ha creato una popolazione di uomini superiore di 30 milioni a quella delle donne – spiega la didascalia che apre il film – il governo cinese si è adoperato in tutti i modi per colmare questo sbilanciamento, visto come la causa di possibili disordini. E lo stigma sociale è l’arma più potente per combatterlo.

«Lei non è bellissima secondo i canoni», «è un po’ attempata», «non può pensare di sposarsi senza avere figli» dice a Mei con sorriso smagliante l’impiegata di un’agenzia che combina matrimoni, mentre i genitori e la sorella si disperano quando Mei suggerisce di voler restare single, dato che ciò che la società si aspetta da lei è come una «scarpa troppo stretta» che non le consente di correre e «fa male».

NELLA PREOCCUPAZIONE dei genitori e nella difficoltà di Mei a trovare un uomo che condivida la sua visione del mondo si riflette anche il radicamento del Paese in un sistema di tradizioni per il quale la centralità del matrimonio ha un ruolo fondamentale a prescindere dalle più recenti politiche governative. Ma il documentario di Medalia e Shlam evita la riduzione a folklore, a curiosità esotica, dei problemi e i sentimenti delle protagoniste, delle loro famiglie e delle situazioni in cui ci vengono mostrate – come i gremiti eventi organizzati per far incontrare i single o il mercatino matrimoniale dei genitori, dove questi si presentano con i «curriculum» dei figli a cui trovare una consorte: altezza, lavoro, provenienza, estrazione sociale.

È un sistema di rapporti complesso, a cui Leftover Women non cerca di affibbiare un’etichetta, anche se condivide con affetto la lotta delle tre donne per trovare il loro posto nel mondo seguendo faticosamente i propri desideri. E in particolare quella di Mei, fieramente decisa a non accettare le «scarpe troppo strette» assegnatele sin dalla nascita.