Fin dalle prime scene, basterebbe l’uso del colore per segnalare che I guardiani della galassia (stasera anteprima nella sezione Alice alla Festa del cinema e da domani nelle sale italiane) non è soltanto «un altro film» della Marvel e nemmeno soltanto «un altro» film di supereroi. In controtendenza con la filosofia dell’illuminazione forte, uniforme, industriale, che appiattisce la maggioranza degli attuali blockbuster hollywoodiani e mette in fuga qualsiasi mistero dagli angoli più remoti del fotogramma, James Gunn spruzza la sua space opera di pozzanghere di luce colorata che si aprono sugli sfondi scuri, e il decor fatiscente, postindustriale, come in un quadro d’espressionismo astratto (non a caso una battuta del film fa riferimento a Jackson Pollock), invitando l’occhio a una visione diversa, più aperta, imprevista.

È un tipo di uso del colore e della luce che ricorda certi film di Mario Bava, o Edgar Allan Poe visto da Roger Corman – cinema d’arte fatto a basso costo e massimo grado d’inventiva, dove essere concettuali è una scelta d’autore almeno tanto quanto una necessità. È da quel modello creativo che viene anche il regista del grande campione d’incassi dell’estate: James Gunn si è infatti formato all’impagabile scuola della Troma Films, lo studio di Lloyd Kaufman (che non sta a Hollywood ma in New Jersey), dove il quarantaquattrenne di St. Louis ha scritto Tromeo and Juliet.
Con la sua armata Brancaleone di assassini, ladri, mercenari e cacciatori di taglie – spesso con la pelle a tinte sgargianti- la sua pianta umanoide e il procione geneticamente modificato, I guardiani della galassia ha l’indole del fratello outsider degli Iron Man e dei Capitan America – non solo perché è tratto da una serie di fumetti meno conosciuta, considerata minore rispetto alla serie A della Marvel.

 

Scritto da Gunn insieme a Nicole Perlman, il film apre sul dettaglio di un Walkman, accessorio squisitamente retro con cui l’avventuriero spaziale Peter Quill, che si è autobattezzato Star-Lord ed è interpretato da Chris Pratt, si tiene in contatto con le sue origini (almeno in parte) terrestri e la memoria di una mamma morta quando era bambino e non era ancora stato rapito dall’astronave del bandito blu Yondu Udonta (Michael Rooker). La canzone è Come And Get Your Love, della band native-American Redbone, un hit del 1974.

Come il Walkman, la colonna sonora vintage, fatta di classici ma non troppo, è un elemento chiave dell’universo di Guardians, che, in una continua dialettica di vecchio e nuovo, new media e archeologia, àncora le sue guerre stellari, oltre che al mito e alla fiaba (come fece la saga di George Lucas), a un passato più terreno e rassicurante, oltre che caro ai baby boomer. I guardiani della galassia è infatti accuratamente studiato per un pubblico che va ben aldilà della generazione dei ragazzini, simboleggiata dal rating PG 13 (vietati ai minori di 13 anni non accompagnati). Non a caso, ancora prima che il film arrivasse in sala, il suo trailer, sulle note di Hooked on a Feeling (una canzone del ’68, qui ripresa nella popolarissima versione dei Blue Swede, del 1974) era già un successo straordinario, come lo è diventato l’album che raccoglie tutte le canzoni anni sessanta e settanta del walkman di Quill.

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Star Wars, anche se in una versione scassata, e decisamente più virata sul comico, è molto presente in questo Guardians, ambientato in parte in un penitenziario galattico che fa pensare alla taverna di Han Solo. Ma il film che ricorda di più, sia nello spirito che per via delle fedina penale dei suoi eroi, è La sporca dozzina, di Robert Aldrich. Come la pattuglia suicida di ammazza nazisti nel capolavoro insuperato del regista di Che fine ha fatto Baby Jane?, anche Quills e i suoi, all’inizio non credono in nulla e non hanno nulla da perdere.

Per motivi diversi ma tutt’altro che nobili, Star-Lord, Gamora (Zoe Saldana con la faccia verde lime), Drax il distruttore (Dave Bautista, coperto di cicatrici rosse), Rocket (il procione caccia taglie, che in Usa ha la voce di Bradley Cooper) e l’uomo pianta Groot (voce di Vin Diesel) sono alla caccia di un globo metallico da cui dipende il destino del pianeta Xandar, tutto giardini, fontane, e architettura modernista. Il globo è ambitissimo anche da Ronan, (un cattivo che ha il volto bianco, fantasmatico, e la cappa nera di una star da serial muto) e dai Ravangers di Yondu Udonta.

La trama è risibile, praticamente una scusa, ma il film si muove con agilità e tempo comico indovinato da un luogo all’altro (il decrepito pianeta Morag, Xandar, il penitenziario, astronavi varie…), alternando battaglie spaziali e risse verbali tra personaggi, su cieli/fondali che sembrano riflettere l’umore della storia, da cromatismi sfrenati a neri profondi punteggiati come da migliaia di lucciole.

Nel suo film precedente, Super (una produzione indipendente del 2010), Gunn si era inventato un super eroe fatto in casa dopo essere stato lasciato dalla fidanzata. Si chiamava The Crimson Bolt e la sua arma prediletta era praticamente una chiave inglese. I guardiani della galassia arriva con i super poteri e il super budget della Disney, ma ha l’anima di un western (di nuovo, il fascino retro).

Più Corbucci/Leone (Rocket è ispirato al Tuco di Eli Wallach, in Il buono, il brutto e il cattivo) che Lucas/Spielberg. Il che fa di James Gunn non solo una nuova presenza nel circolo dei registi di blockbuster che vanno seguiti ma anche un buon antidoto al culto di J. J. Abrams.