Il suo vero nome è Clara Larraguibel, ma ha scelto lo pseudonimo di Lola Larra, noto anche ai lettori italiani grazie a un fortunato libro per adolescenti, A sud dell’Alameda. Diario di un’occupazione, proposto nel 2018 da Edicola Ediciones, cui si deve ora la pubblicazione di Sprinters (pp. 275, euro 18,90, traduzione di Marta Rota Nuñez), un nuovo testo di Larra costruito con notevole maestria e frutto di un’approfondita indagine su Colonia Dignidad, fondata nel 1961 dal medico nazista Paul Schäfer nella precordigliera di Parral, in Cile, remotissima terra promessa per i seguaci della setta da lui creata nel 1954, pronti a obbedirgli ciecamente ma ignari dell’accusa di pedofilia che lo aveva spinto a trascinarli lontano dalla Germania.
Nata a Santiago de Chile nel 1968, Larra ha trascorso molti anni in Venezuela, dove la sua famiglia si era rifugiata dopo il golpe di Pinochet, ma nel 1995 si è trasferita a Madrid, è diventata giornalista e solo nel 2006 è tornata definitivamente in Cile e ha concluso la sua inchiesta sulla Colonia, cominciata anni prima. Consapevole dell’esistenza di un’infinità di ricerche, documentari e reportages sull’argomento, per affrontare la vicenda ha scelto la via della narrativa, disseminandola però di documenti (testimonianze, atti giudiziari, verbali di polizia) e delle immagini di Rodrigo Elgueta, che compongono lo story board di un ipotetico film sulla fuga di due giovani dalla Colonia, così da affiancare una trama secondaria a quella principale.
Sprinters è dunque un romanzo che non disdegna il ricorso a formati diversi e intreccia con grande naturalezza finzione e realtà, enigmi mai risolti e atmosfere degne delle più feroci fiabe dei Grimm, articolandosi intorno alla morte di Hartmut Munch, otto anni, sepolto sotto una lapide senza nome dopo un misterioso «incidente». La vera protagonista, tuttavia, non è la sua piccola ombra sfuggente, ma la severa Lutgarda, personaggio di invenzione in cui si incarna il danno profondo provocato da Schäfer, che nello scenario andino aveva costruito una perfetta anti-utopia, un regno privato con l’apparenza di un idilliaco villaggio bavarese.

È SIGNIFICATIVO che Larra abbia posto un personaggio femminile al centro del suo romanzo, perché nella Colonia le donne erano sagome indistinte e quasi invisibili, schiacciate dal disprezzo maschile, usate come bestie da lavoro, costrette ad abortire se restavano incinte, subito separate dai figli se riuscivano ad averne, raramente date in sposa a uomini scelti dal capo e, a volte, promosse a custodi e aguzzine delle altre. Lutgarda ha però saputo maturare una sua dignità, è intelligente e perspicace, non del tutto spezzata benché un’amarezza profonda l’abbia indotta a rimanere nella Colonia anche dopo l’arresto di Schäfer: ha conosciuto l’orrore, ma diffida del mondo esterno, non lo capisce e sa che non sarebbe capita. Come tutti coloro che sono rimasti, non saprebbe del resto dove andare: gli ex coloni parlano male lo spagnolo, sono poveri, anziani, poco istruiti, e si aggrappano con ostinazione a quell’unico luogo familiare.
Grazie allo sguardo e ai ricordi di Lutgarda, ma anche al vivace racconto in prima persona di una giornalista che assomiglia molto a Larra, il passato della Colonia rivive con l’inquietante precisione di una distopia «nera». Isolamento assoluto, guardie armate, recinzioni e telecamere, psicofarmaci per domare i ribelli, pestaggi, torture, ma anche la certezza di essere al servizio di Dio garantivano l’obbedienza di uomini, donne e bambini pronti a lavorare dodici ore al giorno in cambio di una cuccetta nei dormitori e di poco cibo, mentre il capo e i suoi «gerarchi» fondavano un impero economico composto da alberghi, catene di ristoranti ed enormi estensioni di terreno.

I CONTATTI tra uomini e donne erano proibiti, si somministravano sostanze per annullare la libido, ed era anche attraverso il controllo assoluto del corpo e della sessualità dei coloni che Schäfer riusciva a proporsi come unico oggetto e soggetto di affettività, così da poter abusare liberamente di una corte di bambini tra gli otto e i quattordici anni, gli «sprinters», sempre di corsa per eseguire i suoi ordini ed educati ad accogliere le sue carezze.
Non tutti i ragazzi erano di origine tedesca: molti, «adottati» con le buone o con l’inganno, erano figli dei poverissimi contadini locali e venivano sottoposti a un’assimilazione radicale grazie all’apprendimento del tedesco, a un nuovo nome e al rispetto di regole ferree. Hartmut, però, era tra i pochi nati nella Colonia, e Lutgarda non ha mai dimenticato l’attimo in cui, nascosta fra gli alberi del bosco, lo ha visto accasciarsi durante una battuta di caccia, colpito da qualcuno che sparava all’impazzata: Schäfer, oppure Mamo Contreras, capo dei servizi segreti di Pinochet e ospite abituale del villaggio? Nessuno aveva osato accusarli, ma la ragazzina di un tempo non ha mai smesso di interrogarsi su quel bambino ucciso e sul segreto che forse li unisce, e per scoprire la verità cerca l’aiuto della riluttante giornalista che, nonostante incomprensioni e dubbi, la accompagnerà verso il colpo di scena finale.

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NEL FRATTEMPO Lutgarda offrirà all’estranea, ormai sua alleata, altri tasselli del passato di Colonia Dignidad, la cui efficiente crudeltà aveva trovato in Cile un buon terreno in cui mettere radici. Nonostante le molte voci che parlavano di abusi e sfruttamento (prima fra tutte, nel 1968, quella del senatore Patricio Alwyn, le cui accuse vennero rigettate o insabbiate dal governo) nessuno pensò mai di intervenire contro quel prospero insediamento dove regnavano un ordine e una disciplina invidiabili, e non c’è da stupirsi che Schäfer, stretto alleato dell’organizzazione paramilitare di estrema destra Patria y Libertad, abbia accolto il golpe di Pinochet con entusiasmo, tanto da ospitare un campo di prigionia e tortura dove furono uccisi e fatti sparire centinaia di oppositori.

SECONDO IL GIORNALISTA Fredrich Heller, autore di due libri sull’argomento, è anche probabile che i cileni, con la collaborazione dei tedeschi, intendessero produrre nella Colonia armi non convenzionali da usare in caso di guerra con l’Argentina: che sia vero o no, è certo che nel villaggio fu ritrovato un enorme quantitativo di armi, puntigliosamente elencate da Larra, che accosta il documento ai ricordi di Lutgarda, imprecisi ma inequivocabili.
Solo nel 1991, quando Alwyn divenne presidente, Schäfer vide incrinarsi la sua impunità e qualche anno dopo fu costretto a fuggire in Argentina, aiutato da una vasta rete di amicizie e complicità. Ci vollero otto anni per catturarlo e processarlo, e ne aveva ottantanove quando morì in un carcere cileno, nel 2010.
Agli ex coloni come Lutgarda non rimasero che il silenzio e l’indifferenza: dopo aver protetto e incoraggiato la Colonia per quarant’anni, il Cile si limitò a ignorarli, ed è anche delle loro storie che Sprinters ci parla, evocando lo spaesamento di quei Kaspar Hauser che non avevano mai maneggiato denaro, letto un giornale, preso un treno, usato un telefono, proiettati di colpo in un mondo ignoto e finalmente coscienti di quanto avevano subito.

OGGI LA COLONIA, abitata dai pochi anziani che non hanno osato lasciarla, è un centro turistico ribattezzato Villa Baviera, e si dice che gli attuali dirigenti continuino ad avere contatti con gli antichi gerarchi, quasi tutti impuniti. Benché ci sia chi lavora per rendere giustizia alle 240 vittime di Schäfer ancora in vita, tutto procede con estrema lentezza, e forse non si tratta di un caso, visto che l’attuale ministro della Giustizia cileno è Hernán Larraín, uno degli «Amici della Colonia» (associazione di cui facevano parte anche Evelyn Matthei, ex candidata alla presidenza della Repubblica, e l’ex ministro degli Interni Andrés Chadwick), a suo tempo pronto a dichiarare che Schäfer era vittima di una montatura.
Se in Germania il caso, ignorato per anni, ha suscitato una certa eco, è soprattutto grazie a un modesto film del 2015, Colonia di Florian Gallenberger, che ha spinto il governo tedesco a creare nel 2017 una commissione binazionale per il risarcimento degli ex coloni e a desecretare numerosi documenti, anche se mancano quelli più importanti, relativi agli anni della dittatura. I misteri di Colonia Dignidad, insomma, sono ancora lontani dall’essere del tutto svelati.