Nel Mare Interno di Seto, una delle zone più da cartolina dell’arcipelago giapponese, dove il clima è mite e il panorama è graziato da tante piccole isole, alcune abitate altre no, si trova Okunoshima. Comunemente conosciuta come l’isola dei conigli, questi animali sono presenti in grande numero ed attraggono ogni anno molti visitatori, in realtà l’isolotto è stato teatro di uno degli episodi più cupi e ancora poco analizzati della Seconda Guerra Mondiale in Asia. L’impero giapponese infatti, fra il 1929 ed il 1945, usò l’isola per produrre gas velenosi che furono usati nelle campagne della Seconda guerra sino-giapponese contro militari e popolazione cinese, anche dopo il Protocollo di Ginevra del 1925 che proibiva l’uso di armi chimiche in guerra.

TUTTO QUESSTO E’ ESPLORATO in un breve documentario trasmesso sui canali satellitari e nelle televisioni del Sol Levante, Doku gasu no kizu ato, Hiroshima Usagi shima no kioku (Le cicatrici dei gas velenosi, memorie di Usagi shima, Hiroshima), parte di NNN Document, una serie di programmi di non-fiction lanciati nel lontano 1970. Attraverso testimonianze di persone che lavorarono nello stabilimento, all’epoca adolescenti ma ora ultranovantenni, questo documento filmato nuova luce su alcune atrocità compiute dall’esercito imperiale giapponese durante il conflitto con la Cina. In realtà non è un segreto che nell’isola dei conigli sia esistito uno stabilimento che produceva vari tipi di gas, è infatti possibile visitare un museo che cerca di mantenere viva la memoria storica, ma ci sono molti aspetti meno conosciuti che il team che ha realizzato il documentario è stato abile a portare alla luce. Del resto è solo nel 1984 che fu riconosciuto e rivelato al pubblico come il governo giapponese avesse usato l’isola come base per produrre gas velenosi, per più di quindici anni. Nello stesso periodo Okunoshima fu addirittura cancellata dalle mappe ufficiali e la fabbrica colorata di verde per poterla camuffare meglio con il paesaggio circostante.

IL DOCUMENTARIO procede, come detto, attraverso le parole di chi era presente e lavorava nello stabilimento maledetto, non solo questi giovani all’epoca furono attirati quasi subdolamente sull’isola attraverso alti compensi con cui riuscivano a mantenere la famiglia a casa, ma a lungo termine quasi tutti questi operai finirono per ammalarsi o morire per complicazioni legate ad un lento avvelenamento.
La malattia e la fragilità di questi sopravvissuti si mescola ad un forte senso di colpa per aver prodotto veleni, più di sei tipi, che hanno portato morte e sofferenza nei villaggi cinesi. La parte più straziante del lavoro è proprio quella dove le immagini si trasferiscono in Cina, pochi chilometri a sud di Pechino, dove vengono intervistati alcuni sopravvissuti che, al tempo bambini, videro morire i loro cari fra mille sofferenze, veleni che distruggono la pelle, altri che soffocano ed altri ancora che fanno lacrimare e uscire liquidi dal naso e dalla bocca fino alla morte. Il documentario cerca poi di intervistare anche alcuni quasi centenari che al tempo facevano parte degli squadroni giapponesi che usarono i gas sulla popolazione cinese. Nascosti in gallerie sotterranee per sfuggire alle truppe nipponiche, molti, giovani vecchi e bambini, furono intrappolati in questi cunicoli e li lasciati soffocare dai gas. I militari sopravvissuti sono pochissimi e causa l’età avanzata non ricordano, o fanno finta di non ricordare, il documentario però usa una testimonianza audio registrata più di 20 anni fa, in cui un ex-militare ammette di aver usato questi gas e di aver avvelenato la popolazione del luogo.

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