Con un rock ispirato ai ‘70 e venato di punk, i Fast Animals and Slow Kids presentano il loro quarto album, Forse non è la felicità (Woodworm). Giovani, suonano da 10 anni e vengono da Perugia, chi li ha visti in concerto (ri)conosce la loro esplosività ma anche l’empatia che creano con il pubblico. Una storia italianissima che prende piede nei circuiti alternativi, Aimone Romizi è voce e chitarra della band e ricorda come da passatempo la musica sia diventata un piacevole lavoro: «Perugia ora sta ripartendo ma in quegli anni c’erano pochissimi locali e si suonava per vincere la noia. Il nostro piccolo equilibrio si è sviluppato in una sala prove e in seguito nei piccoli pub, nelle feste e nei circoli Arci. Abbiamo fatto di tutto per costruire un gruppo di lavoro familiare, quando proviamo siamo liberi e possiamo dire e fare quello che ci pare. Anche per questo i miei amici sono quelli con cui ho fondato la band e con loro, oltre alla creatività, condivido la crescita personale e musicale. Sarà una frase fatta, ma vogliamo essere noi stessi al cento per cento».

Meno chitarre che in Alaska, o meglio più settate verso un sound variegato, con i pezzi che rispecchiano le influenze musicali e la leggerezza con cui i Fask si antepongono al successo degli ultimi tour: «Dopo 5 anni trascorsi praticamente insieme e in cui gli ascolti si influenzavano reciprocamente, ci siamo presi le nostre pause, ognuno con i propri progetti, viaggi o lavori. Volevamo riprenderci il tempo senza stressarci sull’onda di qualche sold-out. Quando ci siamo rincontrati la domanda non era cosa suoneremo, ma chi porta la birra, abbiamo presto scoperto di aver gusti differenti ma sempre legati a una radice punk. Per esempio una band che ci fa impazzire sono i Replacements, da loro abbiamo preso l’autosabotarci con arrangiamenti strambi (ride, ndr). Poi ci sono ispirazioni legate ai Rolling Stones o a musicisti meno datati come Bill Ryder Jones. In fase di composizione però emerge sempre la nostra radice malinconica e punk anni ‘90».

Le querce, il potere della neve, gli orizzonti infiniti e altri elementi della natura ritornano nei loro testi come in Montana: «Quando ho scritto quel testo ero esattamente in Montana immerso in spazi giganti, a 80 chilometri dalla prima collina, con i fiumi che governavano una natura che toglie il fiato. La natura per me è molto evocativa, capace di farti sentire un granello di sabbia dell’universo». Un sentire intimo che dalla percezione delle emozioni principali dell’uomo si espande in una comprensione sensistica del mondo: «Invidio le band che riescono a descrivere un sentimento generazionale corrisposto da tanti. Viviamo la musica più nella sfera emotiva, forse suoniamo in maniera troppo egocentrica ma allo stesso tempo abbiamo un approccio personale che, credo, sia vicino alla purezza della musica. Possiamo dire ad alta voce quello che avremmo dovuto dire in un certo contesto, liberandoci ma senza concentrarci su noi stessi in termini di apparenza. Le emozioni non sono nelle condivisioni di un post».