Oggi si conclude il primo giro di valzer per le 32 squadre del Mondiale brasiliano, con il girone H che offre Belgio-Algeria (Belo Horizonte, 18 ora italiana) e Russia-Corea del Sud (Cuiaba, a mezzanotte). Ma già comincia il secondo, con il ritorno in campo dei padroni di casa, a Fortaleza, contro il Messico (ore 21). Vedremo se regge la profezia della presidente Dilma Rousseff, che alla vigilia del primo match aveva rassicurato il mondo sul fatto che anche i contestatori aspettavano solo il fischio d’inizio per stapparsi una birretta e mettersi davanti alla tv.

Calcisticamente, è il giorno buono per una prima verifica delle attese che circondano la nazionale belga, esotica rivelazione annunciata di questo Mondiale. E nel nuovissimo stadio eco-friendly di Cuiaba, l’arena Pantanal, il test sarà valido anche per la Russia allenata da Fabio Capello, sulla carta infinitamente più solida dei coreani, già sconfitti 2-1 in amichevole lo scorso anno. E poi il Brasile, chiamato a dare con il Messico una risposta bailada, di bel gioco e manifesta superiorità sportiva, a chi sostiene la tesi dell’invincibilità dei verdeoro decisa a tavolino dalla Fifa già alla posa della prima pietra.

Rousseff domenica sera ha invitato a cena Angela Merkel anche per rivendicare la risoluzione approvata dall’Onu, su proposta di Brasile e Germania, contro lo spionaggio internazionale che non rispetta neanche la privacy dei presidenti, dopo l’esplosione del caso Snowden e l’emergere dei dettagli, diplomaticamente imbarazzanti per gli Stati uniti, sull’operato disinvolto della Nsa.

La cancelliera poi è volata a Salvador de Bahia per tifare Germania contro il Portogallo e non se ne è pentita: rigore trasformato da Mueller, incornata vincente di Hummler e quando il primo tempo sembrava aver detto tutto ecco l’espulsione di Pepe e il tris ancora di Mueller a rendere la ripresa una formalità, buona giusto per il quarto gol di Mueller, che serve la prima tripletta del mondiale, e per rovesciare su Cristiano Ronaldo una carrettata di fischi. Evidentemente gli orixas baiani, memori delle antiche repressioni coloniali e del sistema che li ha costretti a condividere la loro identità divina con i santi cattolici, hanno presentato il conto ai portoghesi. Si è scoperto anche che Merkel prima della partita aveva ricevuto da una donna (presumibilmente una mãe de santo, una sacerdotessa del candomblé) un ramo di Oxossì, pianta rituale che serve a fortificare lo spirito e il corpo di fronte alle difficoltà.

A proposito di arti magiche e divinatorie, la prima eliminazione del Mondiale è quella del cammello Shaheen (ogni mondiale ha il suo oracolo da maltrattare: ricordate il povero polpo Paul?), che da Dubai ha previsto con la solita sicumera una vittoria dei portoghesi.
Di certo devono ancora inventarlo un feticcio in grado di spaventare l’Argentina, che domenica, pur con qualche difficoltà, ha avuto ragione dell’esordiente Bosnia. Un maracanà così albiceleste non s’era mai visto nella storia. Né, a dire il vero, un’atmosfera così interclassista, in questo Mondiale non per tutti della Fifa. L’Argentina può contare su una spinta popolare e su un confine in comune con il Brasile, che anche per i vasti spazi sudamericani significa qualcosa. Ed è anche questa spinta di popolo, oltre ai gol di Messi (una delizia quello che ha fissato il 2-1 finale), che rende credibile – oltre che preferibile per gli standard Fifa – una finalissima Brasile-Argentina.

Anche i presunti auguri rivolti dalla presidente argentina Kirchner alla sua omologa brasiliana («comunque vada, speriamo che la coppa del mondo resti nella Patria Grande») suonava come un chiaro auspicio in tal senso. Bolivarianamente parlando.