I Siam sono a lutto da settimane. È passato quasi un mese da quel mattino del 21 luglio quando missili sganciati da droni israeliani uccisero 12 membri di questa famiglia di Shaboura, alla periferia di Rafah. Eppure continuano i riti funebri. È giunta l’ennesima tragica notizia dal Cairo: un altro dei Siam rimasti feriti è spirato in ospedale e la famiglia è di nuovo riunita per le preghiere. Gli uomini, una trentina forse più, sono seduti all’ombra di un grande albero. Le donne sono tutte in casa. Dolore e stanchezza segnano il volto dei presenti in una giornata dove un caldo finalmente accettabile e un cielo azzurro senza droni disegnano una cornice diversa per questa terra martoriata che, con la sua gente, paga un prezzo altissimo per il diritto alla libertà e alla dignità.

Mayar sorride. Che bella l’infanzia che ti permette di superare, almeno in apparenza, tragedie che invece sono devastanti per gli adulti. E poi lei è proprio piccola, ha appena un anno e mezzo. Solo per qualche anno durerà questa inconsapevolezza. Presto Mayar si renderà conto di dover vivere il resto della sua esistenza senza i genitori, Mohammed e Sumud, uccisi quel 21 luglio assieme al fratellino, Mouin. E nessuno sa se riuscirà a superare senza conseguenze, senza disabilità, la frattura in tre punti della gamba sinistra e quella del bacino.

Mayar è orfana, una dei tanti orfani di Gaza, spesso di padre e madre, che i bombardamenti israeliani dal cielo, da terra e dal mare si sono lasciati alla spalle. La bimba sorride tra le braccia di zia Nariman, che sarà la sua seconda mamma. Lo zio Ahmad sarà il suo tutore. «Mayar è piccola ma ricorda i genitori – dice Nariman – a sera chiama mamma, mamma. È così triste tutto ciò». La zia piange. La morte del fratello e di sua cognata è per lei una ferita aperta. «Mayar aveva un padre, una madre e un fratello, la sua famiglia, ora ha solo gli zii, non è lo stesso, non è giusto», ripete Nariman tra le lacrime. La bimba, bloccata dall’armatura di gesso che le stringe la gamba e il bacino, ora non sorride. Osserva con sguardo triste i presenti nella stanza. Dalle braccia della zia passa a quelle della nonna che la bacia con tenerezza. Poi all’improvviso sorride di nuovo ai cuginetti Mohsen e Muhmen, più grandicelli, che passano correndo davanti a lei. Anche loro sono orfani. Il primo ha perduto il padre, il secondo la madre.

Tra le conseguenze devastanti dell’offensiva israeliana contro Gaza oltre alla morte di almeno 542 bambini e ragazzi e 250 donne (dati del ministero della sanità), c’è anche quella dei numerosi orfani. Nessuno conosce ancora il loro numero esatto, decine secondo alcune fonti. Cifre drammatiche che non sorprendono. Il portavoce militare israeliano ha sempre fatto riferimento alla presunta presenza di “miliziani” di Hamas e altri gruppi armati nelle zone colpite per spiegare gli attacchi contro case ed edifici di Gaza. Il mondo è rimasto colpevolmente in silenzio di fronte a queste giustificazioni e il risultato è stato devastante per i civili palestinesi. Dozzine di famiglie sono state colpite e decimate, il più delle volte in casa. I loro nomi rimarranno scolpiti nella memoria di chi ha vissuto o seguito la «terza guerra» di Gaza: al Batch, Siam, al Najar, solo per citarne alcuni.

Chi è sopravvissuto ai massacri in qualche caso preferirebbe avere seguito il destino dei famigliari uccisi, tanto sono gravi le ferite che hanno subito e le conseguenze che si porteranno dietro per sempre. I piccoli orfani di madre e padre invece si portano dentro la solitudine di chi ha perduto la protezione, la guida, la carezza quotidiana. Gli zii assicurano che daranno tanto affetto a Mayar, prima fra tutti zia Nariman che non trova pace. E affetto riceverà anche Qusay Abu Namlah, tre mesi e mezzo, sempre di Rafah, ferito alle gambe e alle braccia. I suoi genitori sono stati uccisi dalla cosiddetta «Direttiva Annibale», ossia dal bombardamento a tappeto che prevedono le procedure militari israeliane per impedire che un soldato catturato sia portato via vivo dal nemico.
Quel soldato, il tenente Hadar Goldin, probabilmente era morto quel giorno di fine luglio che doveva coincidere con una tregua. Eppure i cannoneggianti e i raid aerei sulla zona orientale di Rafah andarono avanti per due giorni facendo circa 150 morti, tra i quali il papà e la mamma di Qusay. Ora quel bambolotto di carne e ossa con due occhi che ti scrutano dentro, è all’ospedale al Makassed di Gerusalemme Est. Al ritorno a Rafah, sarà affidato a qualche parente.

Tanti piccoli orfani non avranno la fortuna di diventare adulti a casa di uno zio o di una zia. «Per alcuni o forse molti di loro il futuro è l’orfanatrofio», ci dice Suhail Flaifl, del Palestine Children’s Relief Fund (Pcrf), una ong palestinese che garantisce assistenza medica specializzata ai bambini palestinesi feriti o gravemente ammalati e che in questi giorni sta anche distribuendo aiuti a migliaia di sfollati. «Molte famiglie di Gaza sono povere e l’affetto non basta a sfamare tante bocche. Non pochi potrebbero avere difficoltà a tirare su i figli di un fratello o una sorella rimasti uccisi, per mancanza di risorse economiche. Affidarli a un istituto è la soluzione che sceglierà qualche famiglia o le autorità locali. Non abbiamo ancora dati ufficiali ma posso affermare che mai in passato un’operazione militare (israeliana, ndr) aveva causato tanti piccoli orfani e ucciso e ferito tanti bambini», aggiunge Flaifl.

Diverse associazioni, non solo locali, sono al lavoro per raccogliere i fondi che serviranno al mantenimento dei bambini rimasti orfani e per aiutare le donne con figli che hanno perduto il marito, la casa e ogni forma di sostentamento. Anche tanti uomini sono stati colpiti duramente negli affetti. Nabil Siam, uno zio di Mayar, ha bisogno di conforto. È devastato dal dolore. Ci mostra foto della sua famiglia spazzata via dai missili: moglie e quattro figli. Un quinto figlio è in condizioni disperate in un ospedale del Cairo. Lui non ha più il braccio sinistro. La lacrime gli scorrono lungo il viso e continua a tormentarsi con la stessa domanda: «Perché hanno colpito la mia famiglia? Perchè? Erano soltanto una donna e dei bambini». Nella sala tutti tacciono. Nemmeno Mayar sorride.