«Vi state rendendo ridicoli». Così, dal palco del Wells Fargo Center di Philadelphia, la comica, e sendersiana di ferro, Sarah Silverman, che adesso voterà Hillary Clinton, ha intimato al gruppo degli irriducibili, O Bernie o niente, il primo giorno della convention. Inquattata come me tra i delegati del Nebraska (c’erano molte sedie vuote…), dita in azione costante, lo guardo fisso sull’I-Phone, Rosario Dawson – una degli irriducibili- quel giorno si è animata solo all’apparizione di Sanders. E non ha cambiato idea nei giorni successivi, anzi: su Twitter invita i followers a votare per la candidata verde, Jill Stein. Susan Sarandon, un’altra die hard, aveva già annunciato, prima delle convention che per Hillary Clinton non voterà mai (c’è un precedente: aveva votato Nader invece di Gore). Non si parla di endorsement a Hillary, ma era senza altro più malleabile Spike Lee, sandersiano che però – nei giorni della convention- twittava, citando Biden l’esortazione di Obama: «non fischiate, votate!».

Dietro le quinte, l’apparizione e l’uscita di Silverman, oltre ad aver allentato parecchio la tensione alla convention, sono state accolte da molti con gratitudine, un highlight: «È stata fantastica. Meno male», mi ha detto il direttore di un’importante cinema arthouse newyorkese . «Sono così contento che qualcuno lo abbia detto», mi confessava l’altro giorno un noto regista hollywoodiano, che non è mai stato un grande sostenitore di Clinton ma è così preoccupato dall’elezione «che mi sono comprato un adesivo Votate per Hillary da attaccare sull’auto».

Considerando che, dalla parte di Trump, prima della mezza entrata in scena di Eastwood, il parco celebrities hollywoodiane andava poco più in là di Jon Voight, questo è un terreno in cui democratici hanno già vinto su tutta la linea. Meryl Streep, Lena Dunham, Salma Hayek, Barbra Streisand, Katy Perry, George Clooney, Beyoncé, Julianne Moore, Jerry Katzenberg, Amy Schumer, Paul Simon sono stati tra i supporter di Hillary fin dall’inizio. Leonardo Di Caprio prevede di ospitare un pranzo pro-Hillary il 23 agosto ($ 33,400 a biglietto) quando la nominee democratica farà un bliz losangeino di 2 giorni pieno di eventi raccolta fondi. E, in uno skit bellissimo (https://www.willhillarywin.com/2016/08/01/the-simpsons-support-hillary/) persino i Simpson, l’altro ieri, si sono schierati con la candidata democratica. In generale, parlando qua e là con esponenti dell’industria, di fronte alle presidenziali di novembre, oggi prevale il pragmatismo.

Anche quelli che, nei mesi scorsi, ricorrevano alla battuta standard «Hillary non mi piace» o, «Di lei non mi fido», adesso parlano solo di quanto sia importante convincere la gente ad andare a votare. Che è un po’ la posizione di Michael Moore, che stava con Sanders ma che ha sempre detto che se Hillary era nominata avrebbe votato per lei. Tutto, insomma, pur di fermare Trump. Il posto dove tutti si rifugeranno nel caso fosse eletto? Alla quasi unanimità, la Nuova Zelanda. Questa volta, il solito Canada non basta. gdv