Matteo Renzi è arrivato ieri a Pompei per “Expo idee” e ha trovato ad accoglierlo i lavoratori casertani della Indesit di Carinaro, in rappresentanza degli 815 (più l’indotto) che la Whirlpool vuole spedire a casa chiudendo l’impianto. «Già domani sentirò i vertici del gruppo. Caserta non può perdere un altro sito industriale» li ha rassicurati.

La bomba è esplosa giovedì, quando al ministero dello Sviluppo economico l’ad Italia del colosso statunitense ha annunciato il piano di fusione conseguente all’acquisizione dell’Indesit dalla famiglia Merloni: 500 milioni di investimenti; 1.335 esuberi; la chiusura di Carinaro e del centro di ricerche piemontese di None, più il trasferimento della produzione di Albacina a Melano; impegno a bloccare i licenziamenti fino a tutto il 2018.

«Abbiamo chiesto – raccontano alcuni sindacalisti presenti all’incontro di ieri col premier – com’è possibile che il governo non sapesse i termini del piano. Ci ha risposto glissando: “Al di là di quello che hanno detto, non vogliamo la chiusura di Caserta”. È proprio difficile pensare che fossero all’oscuro». In effetti i rapporti dell’esecutivo con la Whirlpool sono buoni, visto che il governo ha fatto il tifo per loro preferendo l’offerta Usa ad una cinese. Del resto il piano presentato giovedì assomiglia moltissimo alla prima versione di quello stilato dalla Indesit nel 2013: la chiusura di due siti e 1425 esuberi. Solo dopo mesi di proteste venne salvato Melano e gli esuberi scesero a 940.

«All’epoca – racconta il segretario della Fiom casertana, Massimiliano Guglielmi – avvisammo il governo che i Merloni trattavano la vendita. Anzi, chiudere l’altro stabilimento casertano di Teverola per spostare le lavatrici di fascia bassa in Turchia ci sembrò proprio una strategia per agevolare l’affare. Quello era un prodotto di punta che vendeva tantissimo, molto affidabile, lo hanno delocalizzato per aggiungere punti a un profitto già alto. Indesit è forte in Russia e nell’est Europa, l’impressione è che la Whirlpool l’abbia acquistata per togliere di mezzo un concorrente e utilizzare il marchio per penetrare nel mercato. Se torneranno poi le produzioni spostate in Turchia, Polonia e Cina, come annunciato, è tutto da vedere».

Il rischio è che venga cancellata da Terra di lavoro una tradizione industriale iniziata negli anni ’70: «Qualche anno fa dovettero spostare dal nord al casertano le lavatrici con carica dall’alto: le chiedeva il mercato inglese ma non funzionavano bene. Noi riuscimmo a metterle in produzione. Oggi ci scippano i frigo da incasso, che sono sempre stati un prodotto campano, per mandarli a Varese».

Le agitazioni proseguono in Campania (dove trattengono il fiato anche i 600 lavoratori del sito di Napoli, che già hanno accettato il contratto di solidarietà per evitare 230 esuberi), ad Albacina e a None in attesa dell’incontro di domani a Roma tra sindacati e vertici del gruppo. «La Whirlpool ci ha spiazzato» aveva dichiarato alla stampa il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, promettendo di lavorare a «minimizzare l’impatto della riorganizzazione sull’occupazione».

Si espone anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: «La nostra risposta è molto chiara: gli impegni assunti si mantengono. Siccome Whirlpool ha preso Indesit, che aveva un tipo di piano sul versante dell’occupazione, lo deve mantenere». Per la leader della Cgil Susanna Camusso: «Bisogna costruire una soluzione che salvaguardi l’occupazione, soprattutto al sud. Abbiamo preso atto della reazione del governo ma vorrei ricordare che aveva salutato la fusione tra le due aziende come ‘un risultato fantastico’».

Non si fidano neppure nelle Marche, dove pure dovrebbero arrivare gli investimenti: «L’esecutivo deve aprire un tavolo istituzionale al quale devono partecipare anche gli enti locali – la posizione del sindaco Pd di Fabriano, Giancarlo Sagramola -. Vogliamo capire che tipo di rapporto ha costruito il governo con Whirlpool».