Gli operai delle Acciaierie si sono fatti consegnare le chiavi dal sindaco Anselmi e sono saliti sulla fortezza del Rivellino, che resterà simbolicamente occupata fin quando arriverà la certezza che l’altoforno resterà acceso fino al 2015. Un gesto che sa di ultima spiaggia, nonostante che in giornata sia arrivata la convocazione di Fiom, Fim e Uilm al ministero dello sviluppo economico. Un appuntamento, nel pomeriggio di domani, con il sottosegretario Claudio De Vincenti. Per cercare di capire quanto valga, dopo due lunghe settimane di silenzio dalla grande manifestazione di inizio ottobre, la promessa del governo di intervenire con il commissario straordinario Piero Nardi. Per prolungare la vita dell’altoforno.

Chi lavora alla ex Lucchini vede con i suoi occhi che i programmi del commissario non sono cambiati: nei piazzali della gigantesca area industriale sono state accumulate 300mila tonnellate d’acciaio, in previsione delle fermata dell’afo a fine novembre. Del resto Nardi non hai mai fatto marcia indietro. La sua strategia d’azione resta quella di chiudere il ciclo integrale, che a suo dire costa più di quanto non siano i ricavi, e lavorare per la realizzazione nei prossimi dodici mesi di un più piccolo forno elettrico. Con, in tempi ben più lunghi, il progetto di un impianto a tecnologia Corex, meno inquinante ma di piccola taglia rispetto alle potenzialità dell’attuale altoforno.

Operai, Rsu, sindacati ed enti locali ribattono che un piano del genere taglierebbe almeno del 50% l’occupazione. In numeri sarebbero circa in 1.200, fra addetti diretti e dell’indotto, a dover lasciare il lavoro. Un autentico disastro per la città di Piombino e per l’intera Val di Cornia. Con ricadute a cascata sulle altre aziende siderurgiche dell’area, Magona Arcelor e Tenaris Dalmine. Ricadute non certo “temperabili” dalla possibilità di avviare, anche stavolta in tempi non brevi, la filiera della rottamazione delle navi (con il forno elettrico) su cui punta – a partire dalla Costa Concordia – il presidente toscano Enrico Rossi.

“Le risorse necessarie per non fermare l’altoforno – aveva scandito a inizio ottobre Susanna Camusso dal palco di piazza Bovio – sono meno di quello che si spenderebbe per gli ammortizzatori sociali”. I calcoli di Fiom & c. dicono che 36 milioni di euro basterebbero per tenere aperto il ciclo integrale e far continuare a lavorare gli operai delle Acciaierie. Mentre la cassa integrazione di massa costerebbe non meno di 48 milioni. Ma anche su questo aspetto della vicenda il ministero tace, così come ha fatto nel mese che aveva a disposizione per dare il suo parere sul programma commissariale. L’unica, drammatica certezza è che il governo non interverrà direttamente per salvaguardare il futuro del secondo polo siderurgico italiano. E anche gli enti locali aspettano il loro Godot, sotto forma di imprenditori interessati alle Acciaierie. Respingendo l’ipotesi di una politica industriale fatta anche di investimenti pubblici, in un settore strategico per il paese come quello dell’acciaio.