Un giovane cantante ha parlato dell’omosessualità come scelta.  È stato aspramente contestato. Molti vivono l’omosessualità come condizione dettata da fattori biologici, determinanti fin dalla nascita il destino sessuale di una persona. Una posizione motivata, in parte, dalla preoccupazione di proteggere gli omosessuali da una visuale sociale correttiva che tratta la loro sessualità come vizio comportamentale. La preoccupazione ha motivazioni reali, la risposta scivola nella mistificazione. Mostra la capacità della norma di appropriarsi della critica che contrasta la sua logica alienante, di volgerla a suo favore.

Lo studio della determinazione genetica della condizione umana, è da sempre associato alla patologia e alla sua prevenzione. Il suo uso ideologico nel campo delle relazioni sociali ha dato manforte al razzismo, nelle sue declinazioni multiformi, e all’eugenetica, nelle sue diverse versioni che vanno dallo sterminio dei “devianti” (ammucchiati nel pregiudizio genetico) alla clonazione degli animali (e degli esseri umani).

La demolizione scientifica del razzismo e l’evidenza della follia dei progetti eugenetici non ha intaccato la loro forza di persuasione. Ennesima prova del fatto che scienza e etica non coincidono e le applicazioni della conoscenza che produce la prima possono seguire una strada opposta rispetto alla seconda. Il ragionamento scientifico non crea di per sé fondamenti etici e l’etica può essere totalmente assente dal lavoro degli scienziati, intesi nel senso ristretto, che oggi domina, di esperti di un sapere tecnico sul substrato materiale della vita.

Appellarsi alla determinazione genetica dell’omosessualità, che esclude la libertà di scegliere la propria vita erotica, non protegge dal pregiudizio, spiana la strada a un suo ritorno prepotente su strade storicamente consolidate. La pretesa di sottomettere ogni aspetto dell’esperienza umana a logiche genetiche, non ha nessuno fondamento scientifico, ma può avvalersi di strumenti ideologici scientificamente derivati.

Al tramonto della sociobiologia, una volgare applicazione di principi biologici alle relazioni sociali, ha fatto seguito (la tentazione di trasformare gli esseri umani in macchine prevedibili e obbedienti non ha mai fine) una massiccia campagna di sottomissione del mondo sensibile, esperibile non già alle idee platoniche, ma ai geni.
Fioriscono da tutte le parti ricerche tautologiche che, facendo uso strumentale di metodi di derivazione scientifica, confermano quello che si erano prefissate di confermare. La più grande falsificazione ideologica del nostro rapporto con la realtà che la storia possa testimoniare.

Queste ricerche nel campo dello studio delle patologie sono inattendibili, applicate alla nostra esistenza fisiologica sono un’aberrazione. Le nostre inclinazioni naturali hanno implicazioni genetiche, ma all’interno di una cornice che definisce un campo di relazioni che non sono mai rigidamente deterministiche, di causa e effetto.
Sono relazioni che lasciano un ruolo decisivo alla potenzialità e alla sperimentalità e consentono grande libertà di espressione.
La scelta della vita da vivere, in questo o in quell’altro suo aspetto, non si fa “a tavolino”, non è il risultato di un’attenta valutazione dei pro e dei contro.

Coincide con il divenire del nostro modo di essere nel mondo, il cui nucleo non è nei geni, ma nell’impronta creativa, trasformativa che, muniti di un patrimonio genetico, lasciamo sul nostro ambiente umano e non umano e che esso a sua volta lascia su di noi. Il sesso è determinato geneticamente, ma se il soggetto non ha potuto sceglierlo, preferisce ribellarsi ad esso. Per sentirsi vivo, pagando un prezzo alto in termini di sofferenza, piuttosto che appartenere alla propria identità genetica come automa. Le gabbie biologiche ci comprimono psichicamente, qualsiasi sia la nostra inclinazione sessuale.