Potenzialmente la regione di Dnepropetrovsk è uno snodo sensibile, nel contesto della partita in corso nell’ex repubblica sovietica. Potrebbe saltare in ogni momento. Gli elementi ci sarebbero tutti. A partire da un apparato industriale importante e a seguire con il fatto che nel distretto si parla prevalentemente russo (la lingua è diventata uno dei fattori della contesa). Senza contare la prossimità con le regioni di Kharkhiv e soprattutto di Donetsk. L’insurrezione è a due passi. Lo spettro del contagio è concreto.
Ma Dnepropetrovsk ha mantenuto una sua stabilità. Tra le varie ragioni c’è senz’altro la nomina a governatore, avvenuta a inizio marzo, del potente oligarca di origini ebraiche Igor Kolomoisky. Controlla Privat Bank, primo istituto di credito del paese. La sua scalata finanziaria è avvenuta in modo opaco, come del resto quella di tutti i suoi pari. Kolomoisky ha fatto una scelta di campo, schierandosi con l’esecutivo di Arseniy Yatseniuk. Mai prima d’ora aveva ricoperto cariche politiche, sebbene abbia sempre manifestato una simpatia, anche staccando assegni, verso Tymoshenko. Kolomoisky sta portando avanti una politica dal duplice respiro. Da una parte fa il falco, esibendo tolleranza zero verso i filorussi. La sua Privat Bank ha persino offerto una ricompensa da diecimila dollari, i soldi che un ucraino guadagna in due anni e mezzo, a chi catturerà un ribelle filorusso. Ci sono persino manifesti pubblicitari che provano l’apertura di questa caccia all’uomo. L’altro approccio di Kolomoisky è quello tipico che gli oligarchi esibiscono. Blandire, promettere, comprare consenso.
Kolomoisky non è l’unico tycoon che Kiev ha ingaggiato, in questo senso. A governare Donetsk c’è Sergei Taruta, socio principale dell’Unione industriale del Donbass, colosso metallurgico. Ma Taruta, a differenza di Kolomoisky, non ha tenuto a freno i filorussi. Anche un altro oligarca, Ihor Palytsia, ha ottenuto le chiavi del palazzo, di Odessa. Kiev ce l’ha spedito dopo il massacro alla sede dei sindacati. Palytsia è vicino a Kolomoisky e si pensa che anche a Odessa lo schema delle ricompense e della delega dello stato alle strutture oligarchiche – alla faccia della rottura morale e politica di cui questo governo è sulla carta portatore – possa andare in scena. Kolomoisky, Taruta e Palytsia stanno con il governo, ma prima di ogni altra cosa vogliono difendere i loro interessi. È questa la costante storica degli oligarchi, la classe dominante dell’Ucraina. In cinquanta controllano mezzo Pil. La tendenza non è stata smentita. Tutti si sono mossi per salvaguardare il conto in banca, tutti hanno preso le distanze da Yanukovich. Non tutti però hanno preso possesso delle stanze dei bottoni, come nel caso Firtash, che ha dominato il comparto del gas in questi anni. È stato arrestato a Vienna, su mandato di cattura americano (è sospettato di legami con la mafia russa). Ha pagato una cauzione e ora attende di capire se verrà estradato o meno. Quanto alle mosse in Ucraina, Firtash, che aveva finanziato Yanukovich, è stato lesto a sintonizzarsi con il cambiamento. Ha investito su Klitschko e Poroshenko, il candidato che più di ogni altri può vincere le presidenziali del 25 maggio. Klitschko farà convergere su di lui i suoi voti. Poroshenko, se vincesse potrebbe tutelare Firtash. Che intanto starebbe finanziando anche agli insorti filorussi. Così, almeno, si sussurra.
C’è poi Pinchuk, genero dell’ex presidente Leonid Kuchma. L’uomo durante il quale il sistema oligarchico ha preso compiutamente forma. Pinchuk, sulle prime, ha accordato sostegno al governo di Yatseniuk. Ma ha rifiutato di assumere incarichi, benché richiesto. Segno che, secondo gli analisti, intende riservarsi margini di manovra, se mai il governo di Kiev dovesse fare una brutta fine. La stessa linea di Akhmetov, il più ricco di tutti. È di Donetsk. Il pilastro del suo impero economico sono i metalli. Akhmetov ha prima sostenuto i negoziati tra Yanukovich e l’opposizione. Capitolato Yanukovich, ha appoggiato il governo. Qualche tempo fa ha mediato tra Kiev e i ribelli filorussi. L’ideale, dal suo punto di vista, sarebbe che l’Ucraina resti in sospeso tra l’Europa e la Russia.