La nuova direttiva europea sugli Organismi geneticamente modificati (2015/412) è appena stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea. A una prima lettura sembrerebbe una norma in difesa della biodiversità e dell’agricoltura sostenibile poiché prevede la possibilità per gli stati dell’Unione europea di vietare la coltivazione di Ogm. Anche i dati relativi al 2014 pubblicati dall’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (Isaaa) non sono incoraggianti per le multinazionali biotech: con un ulteriore calo del tre per cento la superficie coltivata a Ogm in Europa si è ridotta a 143.016 ettari di mais Bt coltivati in 5 paesi su 28 (si coltiva in Spagna il 90% delle superficie totale). Il resto sono briciole sparse tra Portogallo, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca. In Italia, nell’immediato, non dovrebbero aprirsi scenari allarmanti: è in vigore un divieto temporaneo che impedisce la coltivazione dell’unico Ogm autorizzato per la coltivazione in Europa, il mais Mon810 di Monsanto.

Battaglia vinta? Tutt’altro. La nuova legge europea presenta alcune criticità. Una in particolare. Il governo che volesse bandire gli Ogm dal suo territorio non potrà addurre motivazioni che contrastano con la valutazione di impatto ambientale condotta dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare). «Significa che i governi – spiega Federica Ferrario di Greenpeace – non possono basare i bandi su specifici impatti ambientali o evidenze di possibili danni da parte delle coltivazioni Ogm a livello nazionale nel caso in cui questi rischi non siano stati presi in considerazione da parte della valutazione dell’Efsa». Quindi i paesi non potranno utilizzare argomentazioni di carattere ambientale per giustificare il divieto di coltivazione. Inoltre, la nuova direttiva rimette in moto l’attività della Commissione europea sempre molto disponibile ad autorizzare nuovi Ogm (il primo in esame è il mais 1507, inventato per resistere all’erbicida glufosinato che nel 2017 sarà vietato in Europa per la sua tossicità). Ma anche di fronte a un Ogm buono autorizzato dalla Ue e certificato dall’Efsa non sarebbe scongiurato il fattore di rischio più pericoloso per coltivatori e consumatori: la contaminazione. Secondo uno studio di Greenpeace, condotto con il gruppo di ricerca inglese GeneWatch e pubblicato dalla rivista International journal of food contamination, dal 1997 al 2013 si sono verificati circa 400 casi di contaminazione.

Ma la vera trappola che potrebbe vanificare un decennio di lotte condotte dagli ambientalisti europei e stravolgere le regole della produzione del sistema agroalimentare del vecchio continente – non solo per l’insidia Ogm – si chiama Transatlantic Trade and Investment Partnership, meglio (s)conosciuto ai più con la sigla Ttip. Si tratta di un accordo semi segreto per «facilitare» gli scambi economici tra Europa e Stati Uniti. L’obiettivo dichiarato è agevolare la circolazione delle merci armonizzando le diverse normative che esistono in Europa e negli Stati Uniti. Cosa succederà per quanto riguarda agricoltura e cibo? Il mistero è fitto. Le trattative febbrili. I catastrofisti ritengono che le nuove regole del trattato favoriranno le aziende a stelle e strisce. Le conseguenze? Cibi Ogm difficilmente rintracciabili, maggior utilizzo di pesticidi, predominio dei grandi cartelli agroindustriali, scarsa tutela dei prodotti tipici, etichettature e tracciabilità meno approfondite e delocalizzazione della produzione alimentare dove costa meno. Non è la “pistola fumante” ma poco ci manca: su quasi 600 incontri di consultazione realizzati dalla Commissione europea – di cui ci sono pochi documenti in circolazione – circa 500 si sono svolti alla presenza di potenti aziende del settore (sementi, allevamento e mangimi, biotech, produttori di bevande e cibi).

Le trattative per il Ttip sono complicate. Si stanno confrontando due mondi diversi. Da una parte ci sono gli Usa che tutelano il mercato e i loro prodotti e dall’altra c’è l’Europa che, sulla carta, dovrebbe prediligere la tutela dei consumatori e la qualità dei prodotti. Lo scontro è tra un paese con un sistema agricolo che punta sulla quantità e uno che sta sul mercato grazie alla qualità della sua produzione. Un sistema a maglie larghe contro uno con normative più rigide. Per le associazioni ambientaliste e dei consumatori l’esito è scontato: «l’armonizzazione» delle leggi per l’Europa si tradurrà in una cessione di sovranità in termini di sicurezza. Marco Zullo, parlamentare europeo del M5S (commissione agricoltura) non ha dubbi. «La qualità dei cibi che arriveranno sulle nostre tavole è a rischio – ha spiegato – perché perderemo la tutela derivante dalle informazioni presenti sulle nostre etichette. Gli Usa non hanno un sistema di etichettatura ferreo come quello europeo e non hanno certo intenzione di introdurlo con il Ttip. In Europa le procedure di controllo per ottenere un’autorizzazione sulla sicurezza alimentare sono più complesse. Negli Usa sono permesse sostanze vietate in Europa, come cereali Ogm, antibiotici, carne derivata da animali clonati e sostanze chimiche. In nome del libero mercato tutte queste informazioni non saranno a nostra disposizione nelle etichette post-Ttip».
Questo è vero in particolare quando si parla di Ogm. Mentre in Europa, nonostante i tentativi delle lobby, esiste un quadro giuridico che si basa sul principio di precauzione (procedure rigide per l’autorizzazione ampia valutazione del rischio, consultazione pubblica obbligatoria), negli Stati Uniti gli Ogm non devono essere sottoposti ad autorizzazione. Non esiste nemmeno un registro pubblico degli Ogm autorizzati. Per non parlare della trasparenza. In Europa, dove non esiste un solo prodotto Ogm destinato all’alimentazione umana, è obbligatorio segnalare sull’etichetta una quantità geneticamente modificata superiore allo 0,9 per cento. Negli Stati Uniti, invece, l’etichettatura è volontaria. Ma anche nella patria di Monsanto&Co. i consumatori cominciano a chiedere più trasparenza: lo stato del Vermont ha deciso che dal luglio 2016 sarà obbligatorio segnalare una quantità di Ogm superiore allo 0,9%, una legge che è stata impugnata da una potente associazione che raggruppa produttori e distributori alimentari.

La consapevolezza del rischio per il settore agro alimentare dell’Europa è documenta anche da uno studio specifico realizzato per il Parlamento europeo dalla Direzione generale delle politiche interne. Secondo il dossier, «se il commercio fosse liberalizzato senza una convergenza normativa, i produttori europei potrebbero subire gli effetti negativi della concorrenza in alcuni settori… Questo è particolarmente rilevante per quanto riguarda i vincoli dell’Ue in merito all’uso degli Ogm, dei pesticidi e alle misure di sicurezza alimentare nel settore della carne».
Il gioco d’azzardo degli americani non è un mistero per nessuno. «Nei negoziati relativi al Ttip – si legge nel dossier – una facilitazione nell’approvazione e nel commercio degli Ogm è un’importante richiesta dei coltivatori e delle imprese statunitensi. Essi sono sostenuti dalle autorità Usa, che lamentano la lentezza e le poche autorizzazioni alla vendita e al commercio di organismi geneticamente modificati. Il governo americano, inoltre, ritiene che l’etichettatura obbligatoria degli Ogm discrimini ingiustamente questi prodotti». Come se ne esce? Secondo Dan Mullaney, uno dei negoziatori statunitensi per il Ttip, dovrebbe essere la scienza a fare da arbitro: «Se l’Unione europea ha un processo scientifico per le biotecnologie, questo deve essere seguito», ecco il suggerimento. Quindi, «le decisioni in materia di sicurezza alimentare dovrebbero essere basate sulla scienza e sulla valutazione d’impatto». Traduzione: che decida l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (l’Efsa) e che gli stati europei facciano un passo indietro davanti a un parere scientifico favorevole all’introduzione di un Ogm sul mercato. Che si siano già accorti delle criticità (o trappole) della nuova direttiva europea?