Sara Barsotti è una vulcanologa originaria di Carrara. Dal 2012 coordina le attività inerenti la stima della pericolosità vulcanica al Veðurstofa Íslands (Istituto Meteorologico nonché Osservatorio vulcanologico d’Islanda). Con lei abbiamo parlato della recente eruzione che sta interessando la penisola del Reykjanes, vicino all’aeroporto internazionale di Keflavík e a circa 30 km dalla capitale Reykjavík.

Sara Barsotti

Ci può spiegare cosa sta succedendo nell’isola dei “ghiacci e del fuoco” in queste settimane?

L’unrest, il disordine, vulcano-tettonico della penisola del Reykjanes ha avuto inizio nel gennaio 2020. In questo ultimo anno abbiamo registrato decine di migliaia di terremoti nella penisola e tre intrusioni magmatiche a nord di Grindavík, l’unica cittadina sulla costa meridionale della penisola. Il 25 febbraio di quest’anno un terremoto di magnitudo 5.7 nella penisola del Reykjanes ha segnato l’inizio di una nuova fase che è culminata con l’eruzione che è iniziata nella sera di venerdì 19 marzo scorso in una valle del monte Fagradalsfjall.

Che cosa si intende per sistema vulcanico e che differenza c’è con un vulcano classico, come potrebbero essere i nostri Etna e Vesuvio?

Il vulcanismo che interessa quest’area è un vulcanismo di placca divergente. In Islanda la dorsale medio-atlantica attraversa la penisola del Reykjanes tagliandola in due, da ovest ad est. È un “processo di distensione” tra due placche che, di fatto, si stanno allontanando. La crosta terrestre, in questo punto, è sotto tensione e tende a spaccarsi e fratturarsi facilitando la risalita del magma che cerca una via d’uscita. In questo caso ci sono stati vari tentativi nel corso dell’anno di “intrusione” che venerdì 19 ha finalmente trovato la sua strada.

Cosa intende per “intrusione magmatica”?

Chiamiamo “intrusione” un accumulo di magma in profondità all’interno della crosta terreste. Magma, talvolta d tipo “primitivo”, e quindi proveniente direttamente dal mantello, come nel caso dell’Islanda.

Siete in grado di misurare questo livello di intrusione e di prevederne le conseguenze?

Sì, perché questo produce delle tensioni e delle deformazioni che noi possiamo individuare sulla crosta terrestre sia attraverso i Gps sia attraverso immagini satellitari che misurano quanto la terra si muove: se si gonfia, se si solleva, se si sgonfia. Nell’area interessata dall’eruzione abbiamo avuto continui movimenti di diverse decine di centimetri in tutto questo periodo di unrest e pre-eruttivo.

Questi movimenti, di fatto, sono piccoli e grandi terremoti?

Dal 24 febbraio abbiamo registrato 54.284 terremoti in quest’area. Di questi 50 sono stati oltre magnitudo 4 e tre oltre magnitudo 5 e a Reykjavík si sono sentiti molto distintamente. Attualmente la penisola della capitale è l’area più sismica del paese ma abbiamo avuto forti scosse fino a magnitudo 6 nel nord del paese la scorse estate, l’Islanda è sismicamente molto attiva.

Il vostro lavoro non è però solo di monitoraggio dei fenomeni vulcanici ma anche di prevenzione e di analisi dei rischi. Ci può spiegare come operate e quali conseguenze porta il vostro monitoraggio per gli abitanti dell’isola e dell’intera Europa.

Monitoriamo non solo i fenomeni vulcanici ma anche le conseguenze di eventuali eruzioni a partire dalle emissioni che potrebbero essere sprigionate, come l’anidride solforosa e quella carbonica e anche la cenere vulcanica, nel caso di eruzioni esplosive. Per questa eruzione in corso gli aspetti importanti sono legati alle emissioni di gas e, ad esempio, la possibilità che si possano poi determinare le cosiddette “piogge acide”. Per quanto riguarda l’aviazione, noi mandiamo delle allerte che in base al colore hanno delle conseguenze dirette. Con l’eruzione a Fagradalsfjall abbiamo inizialmente rilasciato un’allerta “rossa” inibendo il volo vista la vicinanza con l’aeroporto, rientrata in poche ore. Lavoriamo in stretto coordinamento con la protezione civile islandese che ha vietato per due giorni l’accesso all’area del cono vulcanico per l’eccessiva presenza di gas e stiamo, per esempio, studiando con l’Università d’Islanda le caratteristiche del magma.

Per quanto potrebbe andare avanti questa eruzione?

Questo è un canale magmatico per potrebbe durare per lungo tempo, probabilmente per mesi. Dalla storia delle eruzioni di questa penisola potremmo trovarci di fronte a eruzioni che cominciano e poi si interrompono per poi riprendere dopo un certo periodo, quello che chiamiamo fires. Ma stiamo monitorando e siamo ancora nel campo delle ipotesi. L’ultima eruzione era avvenuta al vulcano Bárðarbunga nel 2014 ed era durata 6 mesi. È bene ricordare che in Islanda sono attualmente 32 i vulcani attivi.

Lei dal 2012 coordina un gruppo di tecnici e scienziati in Islanda, avendo, come ci ha spiegato, enormi responsabilità. È anche lei un “cervello in fuga” che è dovuta emigrare all’estero per vedere riconosciuta la sua professionalità?

In verità, in Italia, avevo un contratto a tempo determinato e quando ho visto il bando islandese ho solo pensato che quello rispondesse a tutto il bagaglio di studi e di passioni che avevo maturato negli anni. È stata una scelta impegnativa che ho fatto con mio marito decidendo di crescere in Islanda i nostri 3 figli. Non ho rimpianti o rancori verso il mio paese d’origine; ho visto un’opportunità che calzava con la mia idea di futuro professionale e l’ho, semplicemente, colta. Qui mi sento realizzata e credo di aver contribuito a dare una dinamicità e una visione meno “rigida” ai problemi e alle eventuali soluzioni. Sono molto orgogliosa del lavoro fatto e della squadra con la quale collaboro ogni giorno.