Due anni fa un reportage del New York Times ha portato alla ribalta il caso di Ascoli Piceno: una donna respinta da strutture pubbliche per sottoporsi a una interruzione di gravidanza aveva segnalato che all’ospedale Mazzoni i ginecologi erano al cento per cento obiettori di coscienza. Cento per cento, come dire zero applicazione della legge 194. «Il problema non è ad Ascoli Piceno ma in tutto il resto della regione Marche», sostiene però la ginecologa Tiziana Antonucci, responsabile dei servizi Aied nelle Marche.

Non sono i medici obiettori a ostacolare l’applicazione della legge?

Qui sono chiamati in causa a sproposito. E poi, sinceramente, almeno un medico che si dice obiettore ci mette la faccia, ci sono ben altri modi di far finta di fornire il servizio di Ivg e di fatto svuotarlo di significato in quanto presa in carico della donna e dei suoi bisogni. Ed è ciò che succede nelle Marche, e non solo qui.

Ma all’ospedale pubblico di Ascoli si può abortire o no?

È l’unico ospedale delle Marche dove il servizio è garantito sempre, continuativamente, anche a Natale e Pasqua, e ora accoglie donne anche da fuori regione. Il fatto è che qui dal 1980, in pratica da quando la 194 è stata implementata, esiste una convenzione con l’Aied. Siamo un’associazione senza scopo di lucro. L’Asl paga per un Ivg di uno dei nostri tre medici 200 euro, mentre il Drg – cioè il costo in base al tariffario stabilito per il Servizio sanitario nazionale ndr – è di 1.400 euro e tanto paga, ad esempio, se fa la convenzione con qualche clinica privata.

Allora qual è oggi lo scandalo della 194?

Il fenomeno dell’aborto volontario si è molto ridotto e sarebbe assolutamente gestibile anche a costi più bassi. Lo scandalo è che ci troviamo spesso davanti a donne molto avanti nella gestazione perché arrivano da noi dopo aver peregrinato da un ospedale all’altro. O perché non hanno trovato alcun servizio Ivg, come a Fermo, o perché sono state rifiutate da altri ospedali che trattano soltanto le residenti. A Senigallia, a San Benedetto del Tronto, ad Ancona i servizi sulla carta funzionano, hanno personale interno e medici non obiettori, ma accettano solo le residenti, una cosa a mio avviso illecita perché la libertà di cura presuppone che la paziente possa rivolgersi a qualsiasi presidio del servizio sanitario nazionale per avere le prestazioni che devono essere garantite a tutti. È un modo bieco di svuotare il diritto a un servizio.

Ho sotto gli occhi situazioni veramente penose, soprattutto per quanto riguarda le donne immigrate, costrette a girovagare, quasi sempre senza patente, con i figli dietro, senza capire bene come districarsi con la lingua e nella burocrazia, a volte anche con qualche patologia.

La soluzione vera sarebbe quella di creare centri dedicati alla salute riproduttiva, che si occupino non solo di praticare gli Ivg ma anche di fecondazione assistita e di tutto il resto, dal counseling – assistenza socio-psicologica ndr – al family planning al necessario follow up, cioè tutti gli accertamenti e le verifiche sul dopo, sulla contraccezione ad esempio. Invece siamo ancora all’età della pietra, con le ragazze che quando chiedono informazioni e magari dopo una serie di rifiuti e liste di attesa lunghissime si sentono dire dall’operatore “adesso ti ricordi?”, colpevolizzandole, con un atteggiamento di scarso tatto e addirittura di sufficienza.

Gli Ivg si riducono anche per la diffusione delle pillole del giorno in giovane età?

Tutti concordano su questo, soprattutto ora che le pillole del giorno dopo sono accessibili anche senza ricetta per le maggiorenni. Ma io credo che influisca anche il cosiddetto aborto fai-da-te, con l’acquisto di farmaci online( misoprostolo e anche RU486) e forse un calo generale della fertilità. L’aborto medico resta un problema nei servizi pubblici, infatti non è possibile somministrare la pillola nei consultori e sarebbe necessario un ricovero in ospedale di tre giorni (procedura unica nel mondo). Inoltre l’Italia si distingue per la percentuale di interruzioni volontarie di gravidanza farmacologiche: intorno al 15 per cento. In Europa quasi ovunque le percentuali sono almeno doppie. In Finlandia con l’aborto farmacologico, molto meno invasivo di altre metodiche, si raggiunge il 93 per cento.

Da noi, poi, si prevedono due giorni di ricovero per il parto e tre per la RU486, assurdo, e con un aggravio immotivato di costi per l’ente. Per poter prescrivere la pillola abortiva senza ricovero, ma con i necessari controlli, a Senigaglia è attivo un day hospital che però deve essere inquadrato come “somministrazione sperimentale”. Naturalmente chi accede al day hospital? Soltanto le residenti. Le altre devono andare fuori regione se vogliono prendere la pillola oppure fare da sole, con tutti i rischi del caso».