«A tutti gli italiani che entrano nella Striscia di Gaza e al personale italiano delle nostre Ong. Sulla base delle indicazioni del nostro Consolato Generale a Gerusalemme, si raccomanda in maniera tassativa:

  1. di non pernottare nella Striscia di Gaza;
  2. di avvertire via e-mail il Consolato Generale dell’intenzione di farvi ingresso;
  3. di usare tutte le possibili precauzioni di sicurezza negli spostamenti…».

È questa una parte del testo del messaggio che ieri hanno ricevuto gli italiani che lavorano nella Striscia di Gaza dalle nostre autorità consolari. Questo allarme è la conseguenza di una minaccia specifica oppure è solo un invito ad una maggiore cautela? La risposta la conosce soltanto il Consolato Generale a Gerusalemme.

Per ora è certo solo l’aumento della tensione a Gaza. Più per il riacutizzarsi dello scontro tra Fatah e Hamas che per la presunta minaccia rappresentata dai gruppetti salafiti presenti tra Khan Yunis e Rafah e che si proclamano «affiliati» all’Is. Non sono mancati di recente episodi inquietanti, a cominciare dai due attentati subiti dal Centro culturale francese a Gaza city e dalle minacce rivolte a una ventina di giornalisti, intellettuali e artisti. Ed è bene ricordare che un sedicente gruppo salafita di Gaza è stato responsabile del sequestro e dell’assassinio di Vittorio Arrigoni, nel 2011.

Non va dimenticato che il movimento islamico Hamas, che controlla la Striscia, ha tutto l’interesse a tenere sotto stretta osservazione i movimenti di questi gruppetti. Il rapimento di un cittadino straniero e il suo trasferimento, attraverso tunnel sotterranei, nel Sinai, dove operano organizzazioni come «Ansar Beit al Maqdes» (affiliata allo Stato Islamico), resta ancora una ipotesi tecnica e non una possibilità concreta.

Preoccupa molto di più, non gli stranieri ma la gente di Gaza, la ripresa del conflitto tra Fatah, il partito del presidente dell’Anp Abu Mazen, e Hamas. Conflittualità che i palestinesi non sopportano più, di fronte ai problemi enormi che devono affrontare ogni giorno, frutto in buona parte del blocco israeliano della Striscia e delle immense distruzioni causate dall’offensiva militare «Margine Protettivo». A cominciare dalla mancanza di energia elettrica. L’unica centrale di Gaza è stata bombardata da Israele la scorsa estate e al momento sono disponibili solo 4 ore di elettricità al giorno. Migliaia di famiglie, specie quelle sfollate, che hanno perduto la casa nei bombardamenti, non hanno soldi per comprare il gasolio per le stufe non elettriche.

E il freddo dei giorni scorsi ha ucciso almeno tre bambini e un pescatore. Di fronte a questi e altri problemi Hamas e Fatah continuano a scambiarsi accuse e nei giorni scorsi ci sono stati atti di forza ai posti di blocco che mantengono all’ingresso di Gaza, subito dopo il valico di Erez.

Il movimento islamico ha inviato suoi miliziani al check point noto come 5-5, gestito da Fatah che ha subito ritirato i suoi uomini. Israele ha reagito lasciando passare solo gli stranieri e impedendo il transito ai civili palestinesi. Hamas accusa Abu Mazen di non voler trovare una soluzione al mancato pagamento dei salari per circa 50 mila dipendenti (in sciopero della fame) del governo islamico sciolto dopo la formazione dell’esecutivo di consenso nazionale nato lo scorso giugno ma di fatto non operativo.