Il Movimento 5 Stelle approva il nuovo statuto e spiana la strada a Giuseppe Conte. Per aprire ufficialmente la strada al nuovo corso serviva la maggioranza assoluta degli iscritti alla piattaforma Rousseau, che dopo la rottura con Davide Casaleggio sono a tutti gli effetti aderenti al M5S. Obiettivo non scontato: alle ultime votazioni, quelle che dovevano ratificare le decisioni prese in novembre agli Stati generali, avevano partecipato appena 11 mila persone su circa 195 mila iscritti certificati.

Ma l’asticella è stata abbassata grazie ad un artificio regolamentare, che ha previsto che gli iscritti che da quindici mesi non danno cenni di partecipazione vengono messi in sonno. In questo modo, il plafond è sceso a 112 mila iscritti. E già a due ore dalla chiusura delle urne trapelava la notizia che il traguardo fosse vicino. Anche se alcuni esclusi già annunciano che faranno ricorso.

IN OGNI CASO, da oggi per Conte comincia un’altra partita. Dopo la faticosa ascesa alla leadership, un cammino tortuoso durante il quale ha perso qualche possibilità di essere davvero l’uomo solo al comando del nuovo M5S e di fare della creatura di Grillo il suo partito personale, l’ex presidente del consiglio ha il compito non meno complesso di mediare, gestire le differenze, far funzionare i nuovi organismi. A partire dalla segreteria. Potrebbe esserci Alfondo Bonafede, che da ex ministro della giustizia ha dato una mano al suo ex professore di diritto che doveva gestire la partita della riforma Cartabia senza traumi. Da settimane circola un solo nome certo: quello della viceministra allo sviluppo economico Alessandra Todde, ex manager di Olidata molto stimata in parte del M5S e anche fuori.

Ma già questo nome, quando ha cominciato a circolare, ha creato polemiche che rendono l’idea del tipo di resistenze che Conte si troverà ad affrontare e che riguardano il rapporto con la base e il tasso di «popolarità» dei singoli personaggi. L’europarlamentare ed ex Iena televisiva Dino Giarrusso, ad esempio, ha rivendicato che nel 2019, quando Todde venne candidata dall’allora capo politico Luigi Di Maio come capolista della circoscrizione isole alle europee, lui raccolse «trenta mila voti in più». Lui andò in Europa, Todde non venne eletta e una corrente profonda della cultura grillina vorrebbe che il peso specifico del gradimento popolare sia una delle condizioni per entrare nella squadra del nuovo leader.

CONTE SA BENE che il rapporto con l’audience è importante, ha dimostrato di voler capitalizzare la sua pagina Facebook che ha raccolto 3,7 milioni di seguaci quando sedeva a Palazzo Chigi. Lo ha fatto, ad esempio, divulgando in streaming i suoi interventi nel corso delle assemblee congiunte dei parlamentari, cosa del tutto inedita nella storia pentastellata. Il messaggio era chiaro, quello di non accettare il circuito chiuso degli eletti e di non volersi limitare al perimetro degli iscritti ma di volersi rivolgersi direttamente agli elettori e ai seguaci che in questo momento fanno ancora di Conte un personaggio premiato dai sondaggi. E però proprio domenica scorsa il leader, catechizzando i suoi sulla bontà della riforma Cartabia, Conte li ha invitati a essere meno sensibili alle pressioni dei social network per fare più attenzione alle parole dei «competenti».

A QUESTO PROPOSITO, bisognerà vedere che però avrà la «scuola di formazione» che fin dall’inizio ha annunciato di voler istituire nel M5S e che nel nuovo statuto appena approvato diventa organismo riconosciuto a tutti gli effetti.

IL BAROMETRO vuole Di Maio fuori dalle nomine e dagli organigrammi interni. Il che evidentemente susciterà polemiche e interpretazioni circa il dualismo del ministro degli esteri con Conte. Ma l’ex capo politico, che non si stanca di smentire ogni retroscena che lo vuole in concorrenza con il nuovo leader, in questo momento non ha bisogno di esserci in questa forma. È convito di aver dimostrato il suo ruolo contribuendo alla ricucitura in extremis tra Beppe Grillo e Conte. E sa che solo l’avvocato può provare a rimettere in piedi il M5S. Dunque, in questa fase, con un posto da ministro e un governo che ha la speranza concreta di arrivare a fine legislatura, può evitare di esserci in prima linea.