Un ritorno al festival per Ermal Meta che Sanremo l’ha vinto una volta nel 2018 in coppia con Fabrizio Moro grazie al brano Non mi avete fatto niente mentre l’anno prima con Vietato morire si era aggiudicato il premio della critica Mia Martini. Ci riprova con un brano lontano dalle sue atmosfere consuete, con più elettronica e un tocco pop. Un milione di cose da dirti – che viene presentata stasera – viene definita dall’autore, una «canzone d’amore verticale» e specifica per non essere frainteso: «perché è una semiretta che inizia e non sai dove va a finire». Anche Ermal ha sentito l’emergenza dell’anno vissuto in lockdown e Sanremo rappresenta un’occasione al momento ineludibile: «Sono a Sanremo perché in questo momento  è l’unico palco attivo e c’è tanta voglia di tornare a esibirsi dal vivo».

LA CANZONE che presenta sul palco dell’Ariston fa parte di un progetto più complesso, l’album Tribù Urbana in uscita per Mescal distribuito da SonyMusic, il 12 marzo. «L’idea era di costruire pezzi differenti rispetto al passato, ho scritto sperimentando». In questa variopinta tribù tante storie di vita. Spicca Gli Invisibili, nata da un incontro con un homeless in America. «Ho pensato fosse una bella storia, che nessuno avrebbe mai ascoltato. Tutti siamo stati invisibili almeno una volta nella vita. Anche io mi sono sentito così a lungo, come quando scrivevo canzoni per altri. A un certo punto ho detto ‘bastà: è stata la spinta a cominciare il mio percorso da solista».

NELLA TRACKLIST anche Nina e Sara, che racconta l’amore tra due giovani ragazze. «Per parlare di quanto possiamo ancora essere nel Medioevo per quanto riguarda la libertà individuale. Nasce da una storia personale, della mia ragazza dei 16 anni che era un’anima in pena fino a quando non ha ammesso a se stessa che le piacevano le ragazze. La società non le aveva dato gli strumenti per capire che quello che lei provava non era sbagliato. La strada da percorrere è ancora lunga e si torna sul discorso della paura per ciò che non si conosce. Io stesso, andato via dalla mia terra a 13 anni, sono testimonianza che l’apertura verso l’altro è fondamentale». La serata delle cover lo vede interpretare Caruso di Dalla, accompagnato dalla Napoli Mandolin Orchestra, non è un rischio fare un brano già riletto in mille modi? «E infatti, l’ho scelta perché tutti mi hanno sconsigliato di farla: sono fatto così, vado controcorrente e preferisco misurarmi con i miei limiti, ma metterò i guanti di velluto per questo capolavoro. Una sorta di punizione calciata al 93/o: vediamo se mi avvicino almeno allo specchio della porta».