Quanto si è consumato in questi giorni a proposito degli insegnanti di “Quota96” rischia di stroncare sul nascere qualsiasi apertura di credito nei confronti del nuovo governo, facendo risultare ancora una volta come vuote parole propagandistiche le promesse di un cambiamento e di una sostanziale discontinuità di azione rispetto ai governi precedenti.

I fatti sono noti, ma è bene riassumerli per le troppe inesattezze che si riscontrano sui media. Gli insegnanti di “Quota96” non sono gli “esodati della scuola”: sono 4.000 docenti e Ata, per lo più nati intorno al 1952, a cui è stato tolto il diritto alla pensione non solo in virtù della legge Fornero, ma a causa della violazione di una norma specifica del comparto scuola che lega la maturazione dei diritti non all’anno solare, ma a quello scolastico. Per gli insegnanti al momento della domanda di pensionamento fa fede l’anzianità acquisita non entro dicembre, ma alla fine dell’anno scolastico. Una norma da sempre vigente, voluta per mettere al riparo gli studenti da cambiamenti di professori in corso d’anno scolastico. Gli insegnanti in questione avrebbero raggiunto la “quota96” prevista dalla vecchia normativa per il pensionamento proprio entro l’anno scolastico 2011/12; ma la norma del comparto scuola è stata disattesa o artatamente modificata per il solo anno 2011. E’ stato un errore indotto dalla fretta con cui è stata varata la legge o una scelta pensata per far cassa al massimo? In ogni caso si è verificata una lesione del diritto e delle regole, come hanno riconosciuto vari giudici del lavoro e inutilmente sottolineato tutti i sindacati scuola.

Che cosa dovrebbe fare un governo che ha a cuore la sua credibilità e il rapporto con i cittadini? Evidentemente riparare l’errore fatto a danno dei suoi stessi dipendenti. Infatti vari ministri l’hanno promesso, ma poi non sono seguiti i fatti. A più riprese le Commissioni parlamentari si sono occupate delle questione, discutendo una proposta di legge (pdl 249) presentata dalla deputata Emanuela Ghizzoni e altri: hanno attivato un monitoraggio a livello nazionale per quantificare il numero degli interessati (i numeri dati dal Ministero erano largamente superiori a quelli reali). All’unanimità è stato approvato un testo che assicura ai docenti di “quota96” l’accesso alla pensione. Sembrava fatta: un piccolo risultato, ma dal grande significato politico, di rispetto e ripristino della giustizia.

Purtroppo non è andata così: il ministero dell’Economia e delle Finanze ha respinto la proposta per mancanza di copertura certa. Ma il Mef ha potere di veto anche contro il parere unanime di una commissione parlamentare? Decide la burocrazia o i deputati eletti dal popolo? In realtà il Mef decide se il governo lo lascia decidere. La responsabilità e la scelta sono dunque del governo Renzi, che, come il precedente, ha scelto di non correggere un errore fatto da altri, ma che evidentemente fa comodo a molti. Vedremo cosa farà nei prossimi giorni di fronte a una risoluzione votata all’unanimità delle Commissioni Bilancio e Lavoro che lo impegna «a riferire in merito al reperimento di risorse» per risolvere la questione, se deciderà di continuare a lavarsene le mani. I “poveri Cristi” scippati della pensione e della legge correttiva continuerebbero a lavorare sentendosi truffati dal loro datore di lavoro.

Certo, umiliati e beffati, dovrebbero fare un grande sforzo per ispirare nei loro alunni quella fiducia nelle istituzioni e quel senso alto dello stato che sta alla base dell’educazione alla cittadinanza.