L’austera scenografia non tragga in inganno: Paul Schrader in First Reformed continua a ritornare sulla stessa scena primaria del suo cinema, la lotta tra la rettitudine e la trasgressione, dove la seconda si fa prepotentemente strada trasformando i tormenti dell’anima in thriller, film d’azione spirituale. Ma qui per la prima volta sceglie una location senza veli: la prima chiesa riformata di Albany, guidata da un pastore che ha tutta l’aria di essere affidabile custode del suo gregge. Si chiama Toller (nulla è casuale in un film di Schrader, nel gioco delle citazioni viene fuori anche l’autore di L’uomo massa), è interpretato da Ethan Hawke dalla severa postura e dagli oscuri pensieri.

Come Willem Dafoe in Light Sleeper seduto al tavolo a scrivere le sue considerazioni tra uno spaccio di droga e l’altro, qui il reverendo Toller decide di tenere un diario per un solo mese (poi lo brucerà), per annotare tutto quello che accade, come una forma di preghiera. Più le ambientazioni sono statiche e spoglie, gli abiti rigorosi, le parole secche, più questo suo nuovo magnifico film si rivela un turbine di riferimenti, emozioni e riflessioni da annientare subito dopo si direbbe per non peccare di suberbia.

La prima scena  è emblematica di quello che succederà: una facciata. La religione come una facciata: è la bianca struttura della First Reformed con il suo campanile che resta qualche secondo in primo piano. Come a riflettere sugli autentici ricordi biografici del regista, figlio di un severo osservante della chiesa riformata olandese che proibiva cinema e altre frivolezze a lui e al fratello Leonard (diventati ambedue registi). Dietro la facciata di quella chiesa che serve da attrazione turistica con vendita di gadget più che per il culto, costruita nel 1767 utilizzata anche per nascondere gli schiavi in fuga, si dipana non una sonnolenta storia di provincia ma un tenebroso conflitto interiore ed esistenziale dei vari protagonisti.

Padre Toller che inizia il suo diario con elevate parole «Riuscire a convivere con speranza e disperazione è l’essenza della vita» o «La grazia scende su tutti noi, ci credo fermamente» un po’ alla volta lascia trapelare qualche indizio poco confacente alla sua posizione. Scrive «Dio è più creativo di noi» e beve un lungo sorso di whisky, esprime il desiderio di pregare e vomita e non sarà la prima battuta che riporta nella stanza da bagno pensieri o inni sacri a destabilizzare le aspettative. Il reverendo non lo è per vocazione, ma, ufficiale di carriera è chiamato ad occupare quel posto dopo un periodo di forte crisi per la morte del figlio in guerra. Lo confessa a un ragazzo in grave crisi depressiva per la sorte del pianeta, militante ambientalista che per questo è stato anche in prigione e che non capisce come si possa voler mettere al mondo dei figli senza futuro.

Si sprigiona da questo elemento una reazione a catena in cui convergono problematiche contemporanee sul futuro personale e dell’umanità intera. Riflessioni religiose e ambientaliste si intrecciano senza abbandonare i protagonisti, il reverendo, il ragazzo e la giovane moglie (Amanda Seyfried), stringendoli in un clima sempre più da thriller quando si fa sentire la presenza del magnate locale responsabile di inquinamento e degno rappresentante della forza che governa gli Usa.

In un crescendo Schrader riesce ad alludere alle possibili domande ma anche alle tragiche risposte dei nostri tempi, dove sembra che l’unica speranza sia tutta da attribuire all’amore. E l’anima oscura del reverendo Toller viene infine fuori, provocando nello spettatore una inedita discussione teologica iniziata già il giorno precedente dal film di Friedkin su padre Amorth e l’esorcismo («alzi la mano chi crede in Dio» ha chiesto oggi in conferenza stampa lasciando per lo più allibiti i presenti).

First Reformed non è un testo teologico, è una perfetta macchina di cinema, un percorso a ostacoli con in più citazioni da decodificare, piuttosto numerose nel corso di tutto il film, da Taxi Driver a Bresson, fino a sfiorare perfino Ultimo tango con una danza a due in una stanza vuota dove invece di Gato Barbieri si innalzano inni sacri, un uso della citazione letteraria, pittorica, cinematografica che fa parte integrante dello stile di Schrader.