«Non c’è un deficit democratico, non c’è proprio democrazia. C’è una bella differenza! Deficit vuol dire che di democrazia ne manca un po’. Zero, invece, è zero, una cifra radicale!». Alcuni eventi sparsi che hanno chiuso questo 2017 rammentano queste parole di Yanis Varoufakis, riportate dal film Piigs di Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre.

La messa in onda di questo film su Raitre (adesso liberamente vedibile sul sito www.raiplay.it ) costituisce una delle (poche) buone notizie di fine 2017: la tv pubblica ha trasmesso (ad ora proibitiva ma tant’è…) uno dei migliori documentari sulla infondatezza e vacuità della dottrina della austerità in Europa, divenuta l’ortodossia dominante sul piano economico.

L’altra buona notizia è che la petizione di Attac contro il Fiscal Compact comincia a dare frutti: la Regione Toscana ha approvato un ordine del giorno a firma dei consiglieri di Sì-Toscana a Sinistra Tommaso Fattori e Paolo Sarti che impegna la giunta a portare al Parlamento una posizione negativa riguardo agli effetti del trattato; il quale, va ricordato, è diventato uno dei capisaldi della egemonia austeritaria della Ue, sebbene per aggirare il veto britannico (al tempo, nel 2012, ancora saldamente membro comunitario, sia pur su posizioni di decisa autonomia) e della Repubblica Ceca sia passato come trattato internazionale che potrebbe essere incorporato nell’assetto comunitario dopo 5 anni dall’entrata in vigore – cioè a fine 2017.

Nel frattanto purtroppo la linea ufficiale della Ue rimane nettamente focalizzata sul mainstream, come esemplifica il quadro del paese che più è stato sotto i riflettori del braccio di ferro europeo: la Grecia. Il 14 dicembre scorso uno sciopero generale ha paralizzato il paese: banche chiuse, navi ferme nei porti, aeroporti paralizzati; l’adesione pare assai alta, proclamata dai sindacati contro la restrizione del diritto di sciopero posta in essere dal governo Tsipras. Alla storia infinita della imposizione di austerità e neoliberismo iniettati dalla Troika al paese ellenico si aggiunge la lista della spesa dei creditori: il quotidiano Kathimerini ha divulgato il testo della terza revisione del Memorandum del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) datato 3 dicembre 2017. Questo ribadisce i soliti termini che il governo dovrà seguire: produrre un avanzo primario pari al 3,5% del Pil (quindi rastrellare tasse a più non posso, in misura ben superiore a quanto distribuisce in contributi e servizi: fare austerità); fare una riforma delle pensioni entro il 2019 che porterà entro il 2022 a un risparmio pari all’1% del Pil; incremento dell’Iva; «le autorità continueranno a implementare un ambizioso programma di privatizzazioni, e un nuovo e indipendente Fondo di Investimenti e Privatizzazioni (Hcap) è stato approntato per un più efficace uso di risorse»; e si potrebbe continuare a lungo.

È stata pubblicata ultimamente una ricerca che indaga l’ascesa del nazismo negli anni Trenta; da una prospettiva particolare: lo studio degli storici (Galofrè, Meissner, McKee) non chiama in causa fattori culturali, nazionalistici, e nemmeno semplicemente l’impatto della Grande Depressione ma l’austerità. Il cancelliere Bruning (1930-32) demolì la spesa pubblica del 15%, con tagli sproporzionalmente acuti in prestazioni sociali e pensioni; altri paesi come gli Usa subivano una depressione anche più profonda, ma mentre paesi come la Gran Bretagna aumentavano la spesa pubblica, la Germania fu quello che più vide una massiccia serie di misure di austerità. Secondo gli studiosi i collegi elettorali soggetti a un impatto più vistoso hanno dato maggiori voti ad Hitler nelle elezioni di quel periodo. Zero democrazia, austerità, destra estrema; il cerchio si chiude. Occorre spezzarlo.