Dall’assedio al Parlamento allo «scacco al re». Ad un anno dall’ultimo accerchiamento alla Camera al grido di «non ci rappresentano», la Plataforma 25S – composta da circa un centinaio di collettivi di indignados – cambia bersaglio ma punta sempre agli organi vitali dello stato spagnolo. Nel mirino, questa volta, la monarchia, attaccata strategicamente proprio all’apice della parabola discendente che le vicissitudini del re Juan Carlos I e gli scandali di corruzione hanno tracciato senza apparente possibilità di redenzione. Ci vorrà tempo per valutare gli effetti di questa offensiva, ma, intanto, i colpi piovono precisi e minacciosi: «È giunto il momento di abolire la monarchia e di aprire un processo costituente».

Non usa eufemismi Aitor (il cognome non vuole dirlo), membro della piattaforma 25S e uno degli organizzatori della più importante manifestazione antimonarchica dell’epoca democratica. Una manifestazione (accompagnata da proteste parallele in una decina di città spagnole) che ieri, a Madrid, è arrivata fin sotto le finestre del palazzo reale, blindato con transenne già dalla mattinata e presidiato da 1.400 poliziotti. La partita è lunga e lo scacco matto che farebbe decadere «un’istituzione anacronistica e classista» è ancora lontano. Ma, opposti ai Borboni, siedono allo scacchiere sempre più caldo della politica spagnola anche i partiti di sinistra radicale (tra gli altri, Izquierda unida, il partito indipendentista catalano Cup, Sortu e il sindacato Ugt hanno) e buona parte cittadinanza. Secondo un’indagine del Cis, il centro statale di ricerche sociologiche, gli spagnoli, su una scala da 1 a 10, hanno affibbiato alla corona una valutazione di 3,68.

Ci sono possibilità concrete di archiviare la monarchia spagnola?
Le condizioni non sono mai state così propizie. La crisi sta aprendo gli occhi a molte persone, che sono diventate più critiche, più esigenti nei confronti del potere. La famiglia reale ci mette del suo, inanellando uno scandalo dopo l’altro e, per la prima volta, i mezzi di comunicazione ne parlano apertamente. Noi siamo convinti che sia davvero possibile chiudere con la monarchia. Certo, non succederà oggi (ieri, ndr), ma questa manifestazione è l’inizio di un cammino oggi più che mai percorribile, che dovrebbe portare fino alla rottura totale con uno stato e delle istituzioni – monarchia compresa – che non ci rappresentano.

Un’eventuale abdicazione di Juan Carlos a favore del principe Felipe (che farebbe contenti molti settori istituzionali e sociali) sarebbe per voi un risultato?
Il re ha ribadito che non intende abbandonare il trono. In ogni caso, noi non contestiamo il monarca ma la monarchia, che è un’istituzione illegittima e antidemocratica, dato che non è stata scelta dagli spagnoli.
Eppure gli storici attribuiscono all’attuale re un ruolo fondamentale nella transizione dal franchismo alla democrazia…
Questa è la vulgata comune, mai smontata anche a causa del timore reverenziale manifestato finora dai mezzi di comunicazione. Mi sembra piuttosto che la monarchia abbia reso possibile una continuità, impensabile in altri paesi, di istituzioni e poteri nel passaggio dal franchismo all’epoca democratica.

Perché siete passati dagli assedi al parlamento a quelli al palazzo reale? Non sarebbe più urgente concentrare le proteste contro governo?
Monarchia ed esecutivo sono due facce della stessa medaglia. Entrambi detengono e amministrano un potere che obbedisce ai mercati e si disinteressa dei cittadini. Sono battaglie complementari, entrambe necessarie, soprattutto alla luce degli scandali di corruzione che hanno compromesso la legittimità il ruolo di rappresentanza della famiglia reale. Presto, comunque, torneremo alle porte del parlamento.

La strada maestra porta dunque verso una terza repubblica?
Il cammino corretto passa per l’abolizione della monarchia, ma dove porta dovrebbe deciderlo il popolo. Bisognerebbe aprire un processo costituente, sciogliere le camere e poi chissà. Noi con queste manifestazioni cerchiamo di richiamare l’attenzione della cittadinanza su ciò che secondo noi non va in questo paese. Le soluzioni, però, non sono nelle nostre mani.