Un inceneritore in ogni provincia campana. L’ultima proposta del ministro Salvini ha riaperto il dibattito su uno dei temi che ciclicamente scalda gli animi. Un dibattito che però rischia di polarizzarsi intorno a una manciata di slogan perdendo il senso di quella che è una questione enorme per il presente e il futuro del nostro paese. Al contrario varrebbe invece la pena che si avviasse un serio approfondimento, documentato e accurato, perché come sempre per problemi complessi non esistono soluzioni semplici, con buona pace di Matteo Salvini.

Se parliamo di rifiuti, dobbiamo avere coscienza che siamo seduti su una bomba a orologeria. Secondo l’ultimo rapporto Ispra, infatti, come cittadini produciamo ogni anno quasi 30 milioni di tonnellate di rifiuti mentre le nostre aziende generano 132 milioni di tonnellate di rifiuti industriali. La soluzione può essere quella di produrre nuovi inceneritori o invece dobbiamo pensare a un modo di produrre, imballare e consumare completamente diverso? Possibile che l’unica proposta per processare i nostri scarti sia di bruciarli?

È evidente che per gestire questa massa enorme di materiale gli impianti servano. Ma impianti di che tipo? Oggi è necessario concentrarsi su quelli di selezione e avvio al riciclo insieme a quelli di trasformazione del rifiuto selezionato in nuova materia prima per un nuovo processo industriale e produttivo. Impianti che dove esistono funzionano e generano reddito e lavoro ma che sono ancora troppo pochi a fronte di una raccolta differenziata che cresce e che ha raggiunto standard buoni in gran parte del paese. Un processo virtuoso che anzi rischia di essere depotenziato proprio dal fatto che un inceneritore, una volta costruito, ha molto banalmente bisogno di materiale da bruciare. Il discorso è piuttosto semplice: per funzionare, un termovalorizzatore ha bisogno di combustibile e i rifiuti con maggiore potere calorico sono proprio carta e plastica, quelli che differenziamo meglio. Pare chiaro che costruire nuovi inceneritori non porterebbe ad altro che a bruciare i rifiuti che differenziamo, con un grande spreco di risorse pubbliche. Per non parlare dei grossi problemi di carattere ambientale e sanitario, perché ogni processo di combustione genera un effluente gassoso composto da diossine, furani, pm10, pm2.5, particolato ultrafine, ceneri e polveri che nessun filtro può intercettare totalmente.

Per chiudere il cerchio, occorre anche ricordare che oltre il 45% dei rifiuti domestici è composto dalla frazione umida, che non brucia e che dunque non può essere incenerita. In Campania, allora, sarebbe molto più utile e impellente un impianto di compostaggio per la trasformazione della frazione umida invece che un nuovo inceneritore. Senza dimenticare che, in ogni caso, la vera sfida epocale che abbiamo davanti è quella della prevenzione dei rifiuti. Ogni cittadino italiano produce quasi 500 kg di immondizia ogni anno. A pensarci una cifra enorme, un kg e mezzo al giorno ai quali si aggiungono quelli industriali, che come abbiamo visto sono più del quadruplo. Dobbiamo cambiare mentalità o non ci saranno mai impianti sufficienti a processare tutti i nostri scarti. O entriamo in una logica di economia circolare in cui il concetto stesso di rifiuto viene sostituito da quello di risorsa oppure non avremo futuro. Gli esempi virtuosi non mancano, in Italia come all’estero. Esempi che generano posti di lavoro, ricchezza e prospettive migliorando la qualità del nostro ambiente e non minacciando la nostra salute. Il futuro è questo. Compito della politica dovrebbe essere quello di incentivare la costruzione di una catena di valore che ha tutto l’interesse a che i rifiuti non finiscano inceneriti ma riutilizzati.