Il turismo legato alla neve vale in Provincia di Trento 170 milioni di ricavi annui diretti, 1 miliardo considerando l’indotto. Funivie di Campiglio è l’azienda trainante del settore: 38 milioni di fatturato nel 2018/19, rappresenta un territorio di particolare pregio, parzialmente all’interno del parco dell’Adamello Brenta. Francesco Bosco ne è il direttore, nonché rappresentante della sezioni impianti a fune nella locale Confindustria: «Da dieci anni a questa parte facciamo segnare un record di ricavi – conferma – ma distribuiamo anche 9,6 milioni di euro di stipendi sul territorio, siamo un’azienda da 200 dipendenti. Paghiamo 300mila euro l’anno d’affitto ai Comuni e alle Regole interessati dalle piste e dagli impianti e siamo ormai gli unici a presidiare il territorio costantemente. Pensate a come sarebbe difficile lavorare per i rifugi senza il nostro supporto, e a tutte i lavori di messa in sicurezza – anche a livello idrogeologico – che ci competono».
La produzione di neve artificiale nei comprensori turistici non è più solo un complemento delle nevicate, ma uno degli investimenti più importanti che le aziende hanno in calendario: «Per come ci siamo organizzati possiamo innevare il comprensorio in 120 ore. È un’operazione che ripetuta due o tre volte l’anno garantisce la neve necessaria a sciare per tutta la stagione». In totale Campiglio conta su quasi 400mila metri cubi di risorse idriche per l’innevamento, pronte a rifornire un «esercito» di oltre 700 cannoni. La produzione della neve costa dagli 1,8 ai 3 euro al metro cubo a seconda delle condizioni climatiche e il bilancio energetico complessivo non può che essere imponente. Secondo il WWF i 4mila 700 km di piste italiane consumano 95milioni di metri cubi d’acqua e 600 GWh di energia all’anno per un costo di circa 136mila euro per ettaro di pista.

Gli impiantisti hanno reagito ai cambiamenti climatici con innegabile spirito di ordine pratico: se non c’è la neve bisogna produrla e per fare la neve bisogna avere un’adeguata riserva d’acqua da utilizzare nelle brevi finestre di freddo disponibili: «L’investimento comunque è in grandissima parte sostenuto dai privati e dal punto di vista paesaggistico questi bacini si integrano alla perfezione nel contesto naturale. Il laghetto di Montagnoli ha uno splendido colore azzurro e abbiamo dovuto mettere un cartello che invita i turisti a non fare il bagno, tanto è invitante. I vari servizi provinciali interessati comunque portano i loro pareri nella valutazione di impatto ambientale prima che l’amministrazione si esprima a favore o contro l’opera».

Le concessioni possono avere un orizzonte temporale di 30-40 anni, ma chi può garantire che nel 2050 ci saranno le condizioni per produrre e conservare la neve? «Secondo noi è difficile capire cosa succederà, non abbiamo pianificato i nostri investimenti nei bacini sulla base dei pareri dei climatologi. Credo che gli impianti più a rischio siano quelli a una quota inferiore ai 1200 metri, per gli altri ci sono molte altre variabili da considerare, come l’esposizione per esempio. Dire che sotto i 1600 metri non si potrà più sciare mi sembra semplicistico».