Ci sono temi che possono risultare intriganti quanto pericolosi. Scorrendo la storia dei simboli o della magia, facilmente si incorre nel problema di dover fare fronte a pessima letteratura: paccottiglia pseudo-esoterica, elenchi di curiosità o, peggio, di errori fattuali basati su chissà quali fonti. Negli anni il web si è alleato con la cattiva letteratura e ora è quasi impossibile digitare parole come «streghe» o «magia» senza far venire fuori una miriade di pagine, una peggiore dell’altra.
Eppure, la ricerca in questi settori va avanti. Certamente si sente la mancanza di una grande firma come quella di Jacques Le Goff, in grado di sposare ricerca e divulgazione, che ha fatto amare al pubblico ben oltre la sua Francia la storia delle «mentalità», come si definiva con un termine ormai un po’ in disuso.

GLI STUDI SUI TEMI dell’immaginario e del meraviglioso medievali continuano, per fortuna, e danno vita anche a alcuni libri belli come quello scritto da Carlo Donà: La fata serpente. Indagine su un mito erotico e regale (WriteUp, pp. 320, euro 22). Le fate, particolarmente care proprio alla storiografia francese, ben più che a quella italiana, sono difficili da definire; nell’immaginario odierno il termine è associato a un’immagine di bellezza o di positività, ma quelle di cui parlano i testi medievali attingendo a un ricco patrimonio folklorico hanno qualcosa di terribile, sono creature di un mondo «altro», a metà fra il divino e il demoniaco.
Non per niente qui si parla proprio di fate come «donne serpente»: alcune miniature (a partire da quella in copertina) mostrano Eva col volto femminile, una corona sul capo, e un corpo serpentino. In questa categoria si colloca Melusina, capostipite della famiglia dei signori di Lusignan. I membri di quell’illustre famiglia, che sarebbe divenuta tra XII e XV secolo la casa regnante in Cipro, legata da rapporti feudali alla corona d’Inghilterra, erano ritenuti difatti discendenti delle nozze tra un principe e una misteriosa creatura, una bellissima donna che tuttavia, nel giorno di sabato, si trasformava in seguito a una misteriosa maledizione in un mostro dalle sembianze serpentine nella parte inferiore del corpo.

NE PARLANO AUTORI come Gervasio di Tilbury (negli Otia imperialia) e Walter Map (nel De nugis curialium) tra XII e XIII secolo, mentre la storia si trasformerà in romanzo cavalleresco alla fine del Trecento grazie a Jean d’Arras. Donà procede soprattutto per via comparativa, mostrando nessi formali che la storia tradizionale spiega con difficoltà, ma che fanno parte di quelli che Jung chiamava i grandi archetipi. A completare la lettura una ricca iconografia che si può fruire collegandosi attraverso un codice a barre su una pagina dedicata dalla casa editrice.
Sui sentieri del mondo magico si muove anche un altro bel libro apparso di recente: Andrea Maraschi, Similia similibus curantur. Cannibalismo, grafofagia e ’magia’ simpatetica nel Medioevo (500-1500) (Centro italiano di studi sull’alto medioevo, pp. 376, euro 48). Maraschi, con esperienze di ricerca tanto in Italia quanto nel mondo islandese, spazia attraverso temi diversi in una serie di saggi-capitoli che hanno però tutti un filo conduttore, ossia quello della magia simpatetica.

È LO STESSO PRINCIPIO delle cure omeopatiche, basato sul principio che il simile produce il simile; innegabile quindi che il cannibalismo, tabù per eccellenza, potrebbe essere un caso classico di magia simpatetica. Un riflesso si incontra nel tema letterario del cuore mangiato, che si ritrova nel romanzo francese e nella lirica trobadorica, nella Vita Nuova di Dante, che lo interpreta in senso metafisico nel sonetto A ciascun’alma presa e gentil core; mentre Boccaccio lo inserisce con toni più concreti in due novelle del Decameron. Nel sesto capitolo Maraschi lo accosta a storie di cuori mangiati in Groenlandia. Altrove si discute la «magia» del Corpus Christi, assimilabile al «mangiare gli dèi»; e il potere della parola trova la sua controparte nella grafofagia. Come nel libro precedente, anche in questo l’abilità sta nel mettere in connessione mondi lontani, rintracciando paralleli inediti che non cessano di sorprendere.

LA MAGIA ha però anche i suoi lati oscuri. Nel Rinascimento si era convinti che, fabbricando una statuetta, per esempio di cera, a immagine e somiglianza di qualcuno, dopo averla battezzata questa avrebbe trasmesso al modello sensazioni di dolore fino alla morte: distruggendola, si poteva colpire così il proprio nemico: anche questa è magia simpatetica. Esattamente come nel vudù haitiano, tanto per restare in tema di paralleli tra culture lontane. Il maleficio era ovviamente la forma più temuta di magia perché atta a nuocere con mezzi occulti; è alla base della costruzione della stregoneria e della caccia alle streghe, fenomeni tipici soprattutto della prima età moderna, ma che affondano le loro radici nel medioevo.

VINCENZO TEDESCO, (Inquisizione eresia e magia nel tardo medioevo, La Vela, pp. 270, euro 16) indaga queste origini analizzando le basi dottrinarie sulle quali si fondava l’idea che i diavoli avessero certi poteri e che li usassero nel mondo con il consenso di esseri umani. Si apriva allora una serie di questioni sui poteri reali o illusori della stregoneria e sul modo di contrastarla, analizzati da trattati inquisitoriali, teologi, giuristi, medici.
È un argomento che sarebbe errato relegare nel novero della «superstizione», quell’ambito nel quale spesso ci piace includere pratiche e idee che preferiamo attribuire agli «altri», nel presente come nel passato: si tratta invece di un capitolo di storia europea con il quale è importante fare i conti.