Oramai introvabili da moltissimi anni, i primi due romanzi di Gilberto Severini sono appena stati ripubblicati da Playground nel volume Consumazioni al tavolo/Sentiamoci qualche volta (pp.157, euro 15). Severini è scrittore raffinato, dalla voce inconfondibile, autore di veri e propri prodigi letterari ammirati da un pubblico ristretto ma fedelissimo.
Consumazioni al tavolo e Sentiamoci qualche volta sono davvero i romanzi di un’intera generazione, quella di chi si è trovato ad avere quarant’anni negli anni Ottanta, catapultato in un decennio inaugurato dalle grandi rivoluzioni culturali e storiche dei Settanta. Eppure allora in pochi si accorsero di avere di fronte uno scrittore destinato a consegnarci alcuni tra i libri più belli della narrativa italiana, nonostante Pier Vittorio Tondelli lo avesse salutato come «uno dei migliori talenti della sua generazione».

SONO ANCORA ALLEGRI gli eterni ragazzi cresciuti di Consumazioni al tavolo, ma di un’allegria non più contagiosa, svuotata di entusiasmi e un poco amara, «l’amarezza, sotto sotto, di chi è stato escluso da una festa». Amici di vecchia data, costretti da anni a una lontananza reale ed emotiva dagli eventi della vita, Alberto, Gianni, Paolo e Paola si ritrovano per qualche giorno in vacanza nelle Marche per assistere agli spettacoli teatrali del festival «Inteatro» di Polverigi.
Ospiti nella villa di Alberto, alternano pranzi al mare e passeggiate serali in piazza Spinelli, vecchie canzoni per le quali struggersi e colazioni al bar, sfuriate che riaccendono antiche incomprensioni, sogni irrealizzati, frustrazioni comuni.

SI SONO ADORATI a vent’anni, persi di vista a trenta; sulla soglia dei quaranta si muovono maldestramente, in quest’età che è una terra dopo il gran terremoto della giovinezza, con continue scosse d’assestamento ancora più spaventevoli e temibili perché in qualche misura attese, in parte già conosciute. È l’incontro con Roberto, efebico diciottenne in vacanza con amici al campeggio, rissoso scaltro e malinconico, a far cadere al suolo ogni buona maniera dettata dalla consuetudine di una vita borghese, costringendo i quattro amici di un tempo a una dura, necessaria resa dei conti. Come l’ospite di Pasolini, Roberto diventa il catalizzatore dei desideri e delle frustrazioni dei protagonisti. È sul suo corpo ancora adolescente, da pubblicità della Coca-Cola, che si gioca la partita tra i quattro: le inquietudini di Paola, non troppo giovane per calarsi nel ruolo di madre e non troppo vecchia per rinunciare a corteggiare il ragazzo; la pigrizia arrendevole di Paolo; l’antipatica venerazione di Gianni per un’età che non ha più. Resta la voglia ancora di capire, scrive Alberto, di avere notizie più chiare e meno banali di me.

«Andrea, a vent’anni, amava me, che ne avevo cinque di meno» rivela A. a Laura, la moglie di Andrea, nelle lunghe lettere di Sentiamoci qualche volta – bilancio di una mezza vita passata a nascondere quel primo sentimento determinante, risalente, vissuto tra le canzoni di Gino Paoli e Lucio Dalla, catalogato da Andrea come uno sbaglio da correggere con un matrimonio fallimentare in partenza.
Con dolorosa lucidità e in vero stato di grazia, Severini racconta il sentimento di sopravvissuto a una disgrazia di chi, dopo aver dissipato energie dietro al suo amore più autentico, si riscopre incapace di ritrovare in sé i desideri di allora. «Del tanto tempo andato a male si recupera forse una consapevole tenerezza per la fragilità della vita e dei suoi inganni. E, come vedi, un pericoloso bisogno di produrre lettere». Si scrivono lettere aspettando risposte. Lo sa bene Severini, sono parole sue.