C’è forte preoccupazione tra i 32 mila esodati che ancora attendono una soluzione dal governo: i segnali ricevuti nell’ultima settimana farebbero apparire sempre più remota la possibilità di una ottava (e definitiva) salvaguardia che includa tutti e rivelerebbero al contrario l’intenzione dell’esecutivo di agire attraverso l’Ape o il meccanismo dei lavoratori precoci, soluzione che però rischierebbe di tagliare fuori la maggior parte degli aventi diritto. Il nodo potrebbe essere affrontato al tavolo con i sindacati che si riunirà domani e che secondo gli auspici governativi dovrebbe chiudere il capitolo pensioni in vista della legge di Stabilità: ma non è neppure scontato, visto che la Rete comitati esodati non vi siede con propri rappresentanti diretti.

La speranza, quindi, è che Cgil, Cisl e Uil ritaglino una porzione delle proprie rivendicazioni per la categoria più rovinata dalla riforma Fornero, come d’altronde hanno già fatto negli ultimi anni, sostenendo numerose manifestazioni. Dall’altro lato c’è una proposta di legge – primo firmatario Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera – che darebbe il la all’agognata ottava salvaguardia, ma che per il momento è rimasta bloccata per mancanza di finanziamenti. Questo perché il Fondo appositamente istituito per legge esiste solo in teoria: negli anni è stato parzialmente svuotato per finanziare altri capitoli di spesa, e quanto resta sulla carta potrebbe essere definitivamente e ultimativamente “scippato” per andare a finanziare l’Ape e gli altri capitoli in discussione al tavolo. In questa logica, a maggior ragione, gli esodati andrebbero a finire nel calderone generale degli anticipi pensionistici, ma con il rischio di non includere tutti.

«I fondi ci sarebbero – spiega la Rete dei comitati esodati – in quanto sono state individuate complessivamente 172 mila posizioni e nelle precedenti 7 salvaguardie si è dato l’ok a 130 mila pensioni». La Rete cita l’ultimo rapporto Inps, aggiornato allo scorso agosto: esistono quindi 42 mila posizioni libere e già potenzialmente finanziabili, a fronte appunto di 32 mila persone che avrebbero i titoli. Allora perché finalmente non si procede?

All’ultimo incontro ufficiale con il ministero, il 20 settembre, il sottosegretario Pier Paolo Baretta ha chiesto di pazientare: starebbero ancora studiando i dati dell’Inps, e qualche risposta si è ventilata per metà ottobre. Ma intanto cinque componenti della Rete hanno incontrato il sottosegretario Tommaso Nannicini il 23 sera a Monza, in occasione di un dibattito sulla riforma costituzionale, dove erano anche presenti il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia e la segretaria Cgil Susanna Camusso.

«Abbiamo parlato con Nannicini sul palco dopo il dibattito – spiega uno degli esodati, Michele Sangiorgio – Lui stesso al telefono, qualche giorno prima, ci aveva detto che ci avrebbe incontrati in quell’occasione». Le notizie arrivate dal sottosegretario alla Presidenza del consiglio non sembrano buone: «Innanzitutto – spiega Sangiorgio – ci ha detto che il Fondo non esiste più. Non sappiamo come interpretare questa affermazione: non verrà più attivato? La stessa proposta di legge sull’ottava salvaguardia quindi non si sbloccherà mai? O dobbiamo pensare addirittura che quei soldi verranno dirottati per finanziare l’Ape?».

Timori non peregrini, se si pensa che lo stesso Nannicini, secondo quanto riferisce la Rete dei comitati, ha ventilato l’ipotesi che si possa affrontare il problema con l’anticipo a 63 anni di età o con gli anni di contributi a quota 41: «In quanto disoccupati di lunga durata – spiega Sangiorgio – ci finanzierebbero l’assegno, pare fino ai 42,7 anni, per poi farci accedere alla pensione. Solo che entrambi questi sistemi non includerebbero tutti, perché tanti esodati non soddisfano nessuno dei requisiti: temiamo anzi che la maggior parte di noi rimarrebbe scoperta».