Hanno calcolato che questa è già la diciottesima volta che scendono in piazza dopo che quella «infausta notte del dicembre 2011» (governo Monti, chi può dimenticarlo) ha allontanato improvvisamente la loro pensione, spingendola oltre l’orizzonte. E dire che era a portata di mano, ma la riforma Fornero li ha prima creati e poi condannati a una pena che per molti ancora non si è conclusa: gli esodati si sono ritrovati ieri davanti al ministero dell’Economia con Cgil, Cisl e Uil, per reclamare la garanzia per l’ultimo blocco rimasto senza alcun paracadute, circa 24 mila persone. Niente stipendio né pensione, nonostante avessero firmato accordi di uscita dal lavoro o avessero perso il proprio posto prima di quel dicembre 2011 che ha cambiato le regole.

«Ci domandiamo in quale altro Stato del mondo, che si possa definire civile, si costringono dei cittadini ultrasessantenni a scendere in piazza per rivendicare il loro diritto alla sopravvivenza», hanno chiesto manifestando sotto la sede della Camera i rappresentanti della Rete nazionale Comitati esodati.

I 24 mila sono quegli esodati rimasti fuori da tutte le passate salvaguardie – ne sono state fatte in tutto sette – ma per il momento sull’ultima necessaria, l’ottava, il governo fa orecchie da mercante. Servirebbe anche uno sforzo (coraggio!) dell’Inps che non ha ancora chiuso burocraticamente la settima. Pratiche che stazionano sui tavoli degli impiegati, che si fanno attendere. Come è già accaduto – solo qualche giorno fa – per il congedo post violenza delle donne: la legge c’era, ma è mancata per 10 mesi la delibera attuativa dell’istituto, pubblicata non appena la denuncia è rimbalzata sui media.

«Governo e Parlamento pongano immediatamente mano all’ottava salvaguardia, per tutti i 24 mila esodati esclusi dalle precedenti sette, per approvarla il prima possibile e, comunque, ben prima dell’estate – chiede la Rete esodati – L’Inps chiuda il più velocemente possibile la settima salvaguardia e proceda a redigere il Report generale dei sette provvedimenti di deroga finora emanati».

I soldi teoricamente ci sarebbero – anzi c’erano – raccolti in un fondo di quasi due miliardi (che da solo basterebbe a chiudere per sempre il capitolo), “depredato” però a fine anno di quasi un miliardo di euro per andare a finanziare altri provvedimenti: «Il ministero dell’Economia – chiedono infatti i Comitati esodati – provveda immediatamente a restituire i 941 milioni indebitamente sottratti al Fondo istituito da una legge dello Stato (la 228 del 2012) per il nostro problema, e non per altre questioni pur meritevoli di soluzione».

Quanto all’ottava salvaguardia, i Comitati chiedono di «essere chiamati a collaborare alla sua stesura, evitando pericolose confusioni con altre categorie che nulla c’entrano con la nostra “questione”, ed eliminando tutte le condizioni restrittive che hanno impedito la possibilità di ottenere la salvaguardia nelle precedenti sette». «Il governo – proseguono – così come ha affermato a più riprese per bocca di alcuni sottosegretari secondo i quali la nostra questione è “pre-prioritaria” rispetto alle altre, ne solleciti l’approvazione. Ricordiamo che rispetto a noi si era impegnato pubblicamente lo stesso presidente del consiglio Matteo Renzi».

Le altre categorie con cui si potrebbe far «confusione» sono i tanti over 60 rimasti esclusi dal mercato del lavoro e che analogamente si sono visti allontanare il momento della pensione dopo la riforma Fornero. Non oggetto, come gli esodati, di specifici accordi di mobilità firmati con la garanzia dello Stato, o che non hanno perso il posto prima del dicembre 2011, ma di cui comunque il governo dovrà tener conto: si spera reintroducendo una flessibilità non penalizzante nei loro confronti. Allo stesso modo, attendono risposte i lavoratori precoci, gli usurati, e tante donne che hanno avuto carriere discontinue, di cui si dovrebbe tener conto nel calcolo dei requisiti.

«In Italia i lavoratori precoci sono tantissimi – ha spiegato la segretaria Cgil, Vera Lamonica – sono quelli che hanno iniziato a lavorare a 16-17 anni e di solito sono operai e fanno lavori faticosi, largamente usuranti. Con il meccanismo di aumento dell’attesa di vita dovrebbero andare di fatto in pensione dopo 42-43-44 anni. Bisogna invece consentire a tutti di andare in pensione dopo 41 anni di lavoro: perché 41 anni bastano e avanzano». «Il governo faccia subito la salvaguardia e poi apra un tavolo di confronto più complessivo per modificare la legge Fornero», chiede Domenico Proietti della Uil.