Sessant’anni fa a Roma la firma del Trattato che dava vita alla Comunità economica europea, poi Ue. E’ possibile delineare una storia dello sport europea di campioni che si sono distinti per le loro azioni oltre il campo di gioco? Lo storico riuscirebbe a non farsi condizionare dai propri idoli? Lo chiediamo a Paul Dietchy, autore di Storia del calcio (paginauno), professore di Storia contemporanea e storia dello sport all’università di France-Comte e promotore di corsi di storia dello sport europea al centro di Storia di Sciences-Po di Parigi.

C’è un’epistemologia che può guidare lo storico?

Uno dei libri fondamentali dove ho studiato questo fenomeno è Hèros du sport, hèros de France scritto nel 1947 da Bernard Busson, un giornalista legato al partito comunista francese.  Si tratta di un elenco di sportivi francesi noti, che hanno rischiato e spesso perso la vita durante le due guerre mondiali: il giocatore di rugby Maurice Boyau, i vincitori del Tour de France Octave Lapize e Lucienne Petit Breton, il dirigente dello sport comunista Auguste Delanne, il terzino della nazionale francese e del Souchaux Etienne Matlerre, il nuotatore Alfred Lacake. Il saggio è stato utilizzato da molti ricercatori di storia dello sport e pone il problema della biografia dello sportivo.
Questi sportivi hanno vinto molto sacrificando la loro carriera per la patria. Lo studioso corre il rischio di partecipare alla costruzione del mito, per esempio Etienne Matlerre terzino della nazionale francese, è stato molto attivo nella Resistenza nell’area di Belfort, nell’est della Francia, il suo compito era di far passare il confine svizzero agli ebrei in fuga dalla Francia, Etienne Matlerre fu l’incubo dei tedeschi, però nella penna di Bernard Busson diventa una specie di superman della Resistenza.

Tra le due guerre mondiali molti campioni sono diventati eroi della loro patria. Come è possibile scrivere una storia europea dello sport?

L’eroe sportivo è radicato soprattutto in un ambiente nazionale, gli eroi inglesi del cricket sono stati descritti da Richard Colt, Max Schmeling, peso massimo tedesco ai tempi del nazismo, da Siegfried Haravann, Gino Bartali e Fausto Coppi da Stefano Pivato. La dimensione eroica era trattata soprattutto da un punto di vista sociale e geografico. Dovremmo chiederci come lo sport permette a questi esponenti delle classi popolari di uscire dalla loro condizione sociale modesta, come esprimono una certa libertà in un ambiente storicamente tradizionalista, come diventano eroi dello sport? E’ interessante capire come sono stati costruiti a partire dai loro exploit sportivi. Gino Bartali è già famoso, quando diventa salvatore della patria nel ’48, il giorno dell’attentato a Palmiro Togliatti, Matthias Sindelar, calciatore della nazionale austriaca che si prende gioco di Hitler, un volto resistente contro il nazismo, ha spinto il giornalista francese Eugene Saccomanno a scrivere un libro Le mystere Matthias Sindelar le footballeur qui dèfia Hitler.

L’eroe sportivo europeo è espressione solo della storia dello sport?

L’eroe sportivo si situa ai confini di tre campi della storia, la storia sociale della working class o della borghesia europea, la storia politica, in quanto l’immagine di certi campioni viene utilizzata dai regimi o dai partiti politici, e la storia culturale, perché l’eroismo sportivo appartiene allo studio delle rappresentazioni, tre aspetti sempre presenti nella formazione dell’eroe sportivo. Questo tipo di eroi pone il problema della biografia nel campo della storia dello sport, dobbiamo chiederci se gli sportivi hanno uno spessore sociale e storico per farne oggetto di una biografia. Esiste il problema delle fonti, gli sportivi non scrivono molto, spesso sono avari di parole, si esprimono con il corpo. Zidane ad esempio, è più famoso per i suoi colpi di piede, e in qualche caso per i colpi di testa, che non per i suoi discorsi, in questo caso non può fornire materiale per una biografia in stile anglosassone con più di mille pagine.

Alcuni nomi meritevole di una biografia europea?

E’ meritevole chi rappresenta un forte capitale sociale, altrimenti si corre il rischio di un’illusione biografica, lo studio della leggenda è parte integrante dell’eroe sportivo, egli è espressione di una storia sociale e culturale, nella working class ci sono i pugili e i calciatori, la recente autobiografia su Zlatan Ibrahimovic scritta dal noto scrittore svedese, David Lagercrantz, Io Ibra, appartiene al genere dell’eroe sportivo europeo, lo “zingaro” che emerge dal quartiere ghetto di Rosengarde per diventare il deus ex machina del calcio europeo dalla Juve all’Inter al Milan, poi al Paris S.Germain fino all’attuale Manchester United. Bisogna aggiungere a questo elenco la maledizione e la persecuzione che caratterizzano alcuni corridori, al pari degli eroi greci, come Jean Bobet, fratello di Louis Bobet amico di Fausto Coppi, un intellettuale con gli occhiali che in montagna soffre perché si appannano. Un caso emblematico è quello di Primo Carnera, il buon gigante caratterizzato dalla fame, l’emigrazione, incarna la speranza dell’uomo nuovo fascista, il suo manager francese Léon See nelle lettere conservate al museo dello sport di Nizza, spiega come ha costruito il mito del campione in Francia prima che in Italia.

In Francia quando nasce l’eroe sportivo?

Nel bel mezzo della Belle Epoque, in quel periodo sorgono le federazioni sportive, le strutture delle rappresentazioni sportive, la letteratura sportiva che racconta i personaggi. Il primo vincitore italiano del Tour de France è Maurice Gaurin di origini valdostane, le petit italienne, come lo chiamava in Francia la stampa, certe manifestazioni sportive come il Gran Prix, sono di ispirazione straniera, nascono in Belgio, l’internazionalismo sportivo nasce in questo periodo. L’eroe sportivo è una figura emblematica della Belle Epoque per diverse ragioni, ci sono le condizioni politiche e sociali favorevoli, è il tempo della celebrazione dello Stato-Nazione, libri come Cuore di De Amicis o degli autori francesi che inventano eroi nazionali come Vercingetorige, sono figure che vengono trasmesse attraverso le scuole elementari. L’atletica leggera è quella che più di tutti ha bisogno di eroi, è uno sport dove prevalgono gli anglosassoni, anche il pugilato in Francia diventa sport-spettacolo, già prima della Grande Guerra. Sono due sport nei quali si manifestava l’inferiorità dei popoli latini rispetto a quelli anglosassoni, l’eroe sportivo assume una doppia valenza, quella di vincitore della gara internazionale e della rivalsa sui giganti anglosassoni, dimostrando che la virilità è anche una virtù latina.
Il pugile George Carpentier è un vero “working class hero” nasce a Liévin settore minerario nel nord della Francia, mette a tappeto pugili anglosassoni. Carpentier si può paragonare ai calciatori di oggi, era l’incarnazione della celebrità, che gli consentiva di accedere ai privilegi riservati agli esponenti delle classi sociali più alte, è ricevuto dal principe di Galles e dagli esponenti più alti dell’aristocrazia inglese, però la sua vita avrà conseguenze funeste durante la Grande Guerra. La stampa francese si chiede se gli eroi dello sport, possono davvero diventare eroi nazionali pronti a sacrificare la vita sul campo di battaglia. C’è un obbligo di eroismo che pesa su questi campioni. Carpentier è stato accusato per tutto il periodo della Grande Guerra di essere un imboscato, grazie alle sue relazioni, è vero che gli fu assegnato il ruolo di autista a Versaille, ma partecipò anche a missioni rischiose. Dopo la guerra riprende i combattimenti e recupera il suo status di eroe nazionale, combatte contro Jack Dempsey incarnazione di un’America selvaggia. Presso il museo dello sport di Nizza sono conservate le lettere inviate da ammiratori e ammiratrici, una gli chiede di fare un figlio con lei per preservare la razza francese, altre criticano l’America, sono preziose perché dimostrano la forza della mitologia costruita dalla stampa. Era l’inizio dello sport globalizzato di oggi.