Ermanno Olmi, anagraficamente, era nato a Bergamo, cresciuto a Treviglio, ma la sua formazione è stata molto milanese. Vero che la sua opera forse più premiata e famosa, L’albero degli zoccoli (palma d’oro a Cannes, proprio quaranta anni fa, quando il premio stupì tutti, anche perché arrivò l’anno successivo alla palma di Padre padrone dei Taviani) è parlato in bergamasco, ma la centralità milanese ha radici profonde, al punto che, quando era malato, ha scritto un romanzo dai tratti autobiografici: Il ragazzo della Bovisa. Proprio Milano è la città dove il giovane Ermanno arriva senza avere completato gli studi, per trovare lavoro alla Edisonvolta, dove già lavora sua madre, vedova. Gli danno uno di quei compiti strani: occuparsi del dopolavoro dei dipendenti, cinema in particolare. E lui, che non ha esperienza, ma è dotato di uno sguardo di rara sensibilità, comincia a realizzare documentari industriali. Esaltando la figura di chi lavora in condizioni difficili.

Perché era questo il suo approccio, cercare «eroi» quotidiani, quelli che si confrontano tutti i giorni con la vita vera. Quando poi approda alla fiction in realtà non abbandona del tutto lo sguardo documentario. Arriva così Il posto che, come ha voluto scrivere lo stesso Olmi nei titoli di testa: «Per la gente che vive nelle cittadine e nei paesi della Lombardia, intorno alla grande città, Milano significa soprattutto il posto di lavoro». Gli attori non sono professionisti, ma l’impatto è emozionante, al punto che alla mostra di Venezia ottiene il premio della giuria. Protagonista femminile è Loredana Detto che diventa poi la signora Olmi, mentre interpreta una particina anche Tullio Kezich, suo amico e sodale con la 22 dicembre (la loro società che produce anche De Bsio e Rossellini). Anche il successivo I fidanzati racconta di Milano, immigrazione e lavoro.Ma il rapporto tra Olmi e Milano è destinato a consolidarsi quando realizza il documentario Milano ’83. La città vive un momento di ubriacatura, sottolineata dal claim Milano da bere, Olmi in un’ora di immagini confeziona un quadro indimenticabile (visibile su You Tube) con i lavoratori della notte che «apparecchiano» la città per l’operosità diurna.

Pura poesia su Milano e la gente che vi lavora, dimenticata e trasformata in protagonista, a dispetto della schiuma dilagante del periodo, fatta di socialisti imperanti e berlusconiane tv private all’assalto. Ma è con Vedete sono uno di voi che Olmi realizza la summa del suo essere milanese. Lui, cattolico, mai dogmatico, si pone sulle orme del magnifico non allineato cardinale Carlo Maria Martini, per molti anni arcivescovo della città, e lo racconta come solo chi è dotato di particolari antenne potrebbe fare. Quando poi il documentario viene presentato nello scenario del Duomo, con tanto di dibattito, è quasi una beatificazione dello scomparso cardinale, ma contemporaneamente anche dello schivo Ermanno. Lui che era partito per fare conoscere e apprezzare il cinema ai dipendenti della Edisonvolta, ora può addirittura permettersi di mostrare il suo film nel luogo più sacro e simbolico della città meneghina. Un bel percorso, ma soprattutto meritato, per quel bergamasco ragazzo della Bovisa.