Se c’è un modo facile per distruggere la reputazione di qualcuno, è attribuirgli condotte sessuali coercitive, libertine o riprovevoli. Anche senza certezze e senza processo.

Quando la politica, i governi o le multinazionali volevano zittire o censurare persone e movimenti, innovazioni tecnologiche o luoghi di libera espressione, hanno fatto sempre così, anche sul Web.
Il marchio d’infamia della sessualità depravata è stato frequente nella storia umana degli “eretici”: da Artemisia Gentileschi a Oscar Wilde, da Frida Kahlo a Alan Turing.

Accusati di sodomia, perversione e pedofilia, sappiamo come è finita. Alan Turing, il creatore dell’informatica moderna, ha morso una mela avvelenata perché non sopportava la condanna alla castrazione chimica inflittagli da una corte inglese in quanto omosessuale.

Non possiamo fare a meno di notare che questo trattamento ha riguardato quegli eretici del Web che hanno detto a chiare lettere che il capitalismo non si può appropriare del sapere collettivo, costruendo le alternative.

Julian Assange, bersagliato da banche e governi per il suo giornalismo investigativo, è stato incastrato da due donne che prima lo avevano accusato di sesso non consenziente e senza preservativo e che poi hanno ritrattato.

Lawrence Lessig, l’inventore delle Creative Commons, è stato vituperato e ostracizzato per l’errore del New York Times che gli aveva attribuito la difesa dei finanziamenti del Medialab da parte del miliardario stupratore seriale Jeffrey Epstein.

Richard Stallman, l’inventore del Software Libero, è perseguitato per un altro errore giornalistico che ha rappresentato come “difesa” i suoi dubbi circa un presunto rapporto sessuale tra una 17enne e Marvin Minsky, pioniere dell’Intelligenza Artificiale.

C’è qualcosa che non va. Ce lo ha ricordato Michele Serra su La Repubblica: “Il nuovo inferno è costruito attorno alla vita sessuale delle persone, come se il corrotto e l’assassino fossero rappresentanti di un male minore e il male maggiore fosse tutto racchiuso nella sfera sessuale. Ossessione che porta al sospetto che un’onda puritana, censoria e ricattatoria sia sovrapposta a un regolamento di conti con i cascami del patriarcato”.

Le nuove crociate sessual-maccartiste hanno il segno invertito: gli oppressi di prima diventano gli oppressori. I progressisti che lottano contro la discriminazione sessuale o la pena di morte sono pronti a polverizzare via social la vita di chi si è macchiato anche in un lontano passato di parole e comportamenti che oggi definiamo misogini, transfobici e discriminatori, retaggio di una cultura che stiamo faticosamente cambiando.

La tecnica dello shit-shaming (‘schifare’) è vincente grazie a Web, app e piattaforme dove ci si coordina per colpirne i bersagli, ed è strumento della “cancel culture”, la cultura della cancellazione che, secondo Wikipedia (sosteniamola!) è una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno viene estromesso da cerchie sociali o professionali.

Frutto di un politicamente corretto estremizzato, assume forma di protesta e boicottaggio e colpisce figure pubbliche, ma anche opere letterarie che rappresentano cose discutibili o offensive per qualcuno.

È impossibile risarcire le vittime di stupro, schiavitù o genocidio. A tali infamie non esiste rimedio, se non la vicinanza alle vittime e la nostra testarda ostinazione a impedire che si ripetano, anche cogliendone le più piccole avvisaglie linguistiche.
Ma attenzione al maccartismo verso i presunti colpevoli. Potremmo finire come diceva Martin Niemöller: “vennero a prendere me… e non c’era rimasto nessuno a protestare”.