L’Italia ha sconfitto il Sudafrica 20-18. E’ la prima storica vittoria con gli Springboks, la prima contro una grande dell’emisfero Sud, la prima contro una squadra collocata nei primi quattro posti del ranking mondiale. E’ una vittoria inattesa e clamorosa che giunge una settimana dopo la netta sconfitta contro gli All Blacks. A Conor O’Shea, il coach irlandese che dalla scorsa primavera ha preso in mano le redini del rugby azzurro, daranno forse la cittadinanza onoraria. Forse lo faranno santo. Di sicuro dietro a questa vittoria c’è la sua mano, c’è la fiducia che è riuscito a infondere alla squadra, ci sono i segni promettenti di un cammino che si annuncia lungo e faticoso, forse tribolato, ma che certo è partito con il piede giusto. Il Sudafrica visto oggi allo stadio Franchi di Firenze – ampi spazi vuoti sulle gradinate: 21 mila spettatori paganti – è sicuramente il peggiore visto da tanti anni a questa parte, forse il peggiore di sempre, ma nulla può in ogni caso oscurare il valore di questo successo.

Si temeva la forza fisica degli Springboks, la carica dei bisonti, l’impatto con un pacchetto di mischia da sempre dominante. E’ stato proprio lì, invece, nel confronto fisico, nei duelli tra i due pack, che l’Italia ha costruito la sua vittoria. Ha conquistato palloni, placcato con una ferocia e una determinazione mai vista prima, persino nelle “rolling maul” si è dimostrata più forte. E’ stato semmai negli spazi larghi che gli azzurri hanno patito, soprattutto nel primo tempo chiuso sul 10-12 per i bokke. Damian De Allende, il più in palla dei sudafricani, si è spesso infilato nei varchi tra le nostre linee, guadagnando metri e mettendo scompiglio nella retroguardia italiana. Le due mete sudafricane, quella di Bryan Habana (9’) e quella di De Allende (17’) sono giunte così, in campo aperto, mentre ogni volta che gli Springboks hanno provato a fare a cornate con il nostro pack sono stati rigettati indietro. Il muro azzurro ha retto per tutti e ottanta i minuti di gioco, senza mai cedere, e negli attacchi frontali è spesso riuscito ad andare oltre la linea del vantaggio. Due gli esordienti assoluti, entrati all’inizio del secondo tempo: i due piloni Nicola Quaglio e Simone Ferrari.

Le mete italiane portano la firma di un boero equiparato, Andries Van Schalkwik (12’), dopo una maul successiva a una touche nei 5 metri avversari; e di Giovambattista Venditti (55’), che ha finalizzato al largo una bell’attacco multifase dell’Italia. In mezzo ci sono i calci di Carlo Canna (3 su 3) per lui e di Edoardo Padovani. L’Italia è piaciuta anche in cabina di regia (Canna-Bronzini) e nella sicurezza con la quale ha gestito il gioco al piede. Dovrà ancora migliorare nella difesa degli spazi larghi.

I momenti chiave sono stati sicuramente quattro: la citata meta di Van Schalkwik giunta tre minuti dopo quella di Habana che ha portato gli azzurri davanti, la capacità di reggere gli assalti sudafricani nei minuti seguenti la meta di De Allende, il piazzato da lunga distanza di Padovani alla mezz’ora di gioco che ha permesso all’Italia di restare attaccati nel punteggio. E poi il secondo tempo, con gli Springboks sempre più smarriti e confusi, ricacciati all’indietro, con il cervello appannato, la disperazione negli occhi e i palloni che gli venivano regolarmente rubati, strappati nelle ruck o da loro stessi gettati via nel vento. La meta di Venditti è stato lo spartiacque: di lì in poi, sul 17-15, si è capito che l’Italia poteva vincere: non mollava un metro di campo e a sbagliare erano gli altri. Un piazzato di Jantjies riportava avanti il Sudafrica (61’) ma tre minuti dopo era Canna a dare all’Italia l’ultimo, decisivo vantaggio. Al 79’ c’era anche una terza meta azzurra (Fuser), ancora una volta con la maul, ma l’arbitro, l’inglese Clancy, annullava perché un piede azzurro aveva pestato la linea laterale. Mancava una manciata di secondi e gli azzurri trovavano la lucidità di rubare la touche sudafricana. Palla fuori e fischio di chiusura.

Il valore di questa vittoria è certificato dal capitano Sergio Parisse in conferenza stampa. Gli è stato chiesto se questa è il successo più importante nella storia del rugby italiano. La risposta è stata semplice e lapidaria: “Si’”. Tutto qui.

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