«L’istituzione del Sistema monetario europeo è stata concepita nel vertice di Brema come elemento fondamentale di un rinnovato impulso all’integrazione economica e finanziaria europea; una maggiore stabilità monetaria e di cambio doveva essere perseguita quale parte di un’azione comune per accelerare la crescita, per diminuire la disoccupazione e l’inflazione e per rafforzare le economie meno prospere della Comunità (…). La posizione italiana è rimasta più di altre coerente con l’obiettivo di costruire un sistema in grado di accogliere tutti i paesi membri e di ridurre pericoli non solo inflazionistici, bensì anche deflazionistici. In questa prospettiva si è sottolineato che gli impegni reciproci in materia di cambio, impostati su una effettiva simmetria di aggiustamenti economici, dovevano essere accompagnati sia da sostegni finanziari, per fronteggiare attacchi speculativi, sia da aiuti sostanziali ai paesi meno forti (…). Impegni rigorosi di cambio devono essere principalmente sorretti da un progressivo adeguamento reciproco delle politiche economiche e monetarie; si rischierebbe altrimenti un nuovo insuccesso» (Paolo Baffi, Considerazioni Finali, Relazione annuale della Banca d’Italia sul 1978).
Un tempo i banchieri centrali si preoccupavano di disoccupazione, deflazione e simmetria negli aggiustamenti: i nodi irrisolti all’alba dello Sme, denunciati da Paolo Baffi, sono gli stessi dell’euro di oggi: 35 anni di politiche monetarie fuori bersaglio.