L’annuncio dei premi conferiti dal New York Film Critics Circle -una della due maggiori associazioni di critici cinematografici degli States- ha siglato ieri formalmente l’inizio della «stagione» degli Oscar. Certo, aldilà delle convenzioni da calendario più o meno rispettate, niente quest’anno potrà essere «come al solito». Inclusa la maratona che ci porterà alla cerimonia di premiazione degli Academy Awards, prevista -non come convenzione del calendario- il 25 aprile prossimo. Mentre le classiche liste dei «10 best» di fine d’anno e le consacrazioni critiche iniziano ad accumularsi salta infatti velocemente all’occhio come la pandemia stia cambiando le carte in tavola -non solo perché nessuno degli eventi promozionali e delle cerimonie di premiazione sta verificandosi «di persona» ma anche per il tipo di film e di personaggi che stanno emergendo come «protagonisti dell’anno». Secondo un’inchiesta pubblicata sul «Los Angeles Times» nel 2019, per il plausibile candidato a un Oscar importante (miglior film, regista, protagonisti…) uno studio può prevedere anche un budget di 15 milioni di dollari. In quella cifra sono inclusi, oltre alla pubblicità, una lunga serie di pranzi, cene, colazioni e apparizioni speciali del talent, insieme ai voli di prima classe e agli hotel a cinque stelle per farli viaggiare.

IN UN ANNO in cui «il traffico» non virtuale è così ridotto da mettere in dubbio persino il valore di investire in un costoso Billboard su Sunset Boulevard, anche compagnie, e quindi film, che non hanno il budget per permetterselo diventano competitive. Non solo – meno esposti alla chance di condividere di persona un drink o una sera con una «star» (on un produttore che poi magari si vendica se non scegli il suo film), anche gli stessi votanti possono diventare più avventurosi, meno succubi del glamour e dell’ovvio. Il New York Film Critics Circle ha per esempio conferito al distributore Kino Lorber, un premio speciale per la creazione di Kino Marquis, una piattaforma streaming ideata, secondo la motivazione ufficiale del premio: per aiutare le sale, non per distruggerle. Premio speciale anche a Spike Lee, non per Come fratelli (Da 5 Bloods) (per il quale Delroy Lindo ha vinto il premio di miglior attore e Chadwick Bosman quello di miglior non protagonista) ma per «aver ispirato la comunità con il suo corto New York New York a per promuovere una società migliore attraverso il cinema». Interessante, sempre nel palmares dei critici newyorkesi (ma anche quelli di Boston e Chicago) la predominanza di Nomadland – che è un bellissimo film, ma anche uno dei pochi per cui lo studio (la Searchlight) non solo non ha deciso di rimandare l’uscita al post pandemia, ma non ha fatto marcia indietro rispetto alla tradizionale sequenza tra sala (prevista adesso a febbraio) e piattaforma o homevideo. Curiosa anche nei palmares e nei 10 best, la frequente apparizione di Borat Subsequent Movie Film (Amazon), sequel del blockbuster di Sascha Baron Coen che in un anno normale forse sarebbe stato considerato troppo iconoclasta per il bon ton delle celebrazioni pre-Statuetta. Prevedibile – dato il furoreggiare delle culture wars – l’attenzione alle donne registe, ma – oltre ai riconoscimenti a Chloe Zhao per Nomadland – l’accento su First Cow di Kelly Reichardt (che si aggiudica il premio come miglior film), Never Rarely Something Always di Eliza Hittman e Time di Garret Bradley potrebbe resuscitare tre film importanti dal buco nero delle visioni online. Praticamente ignorato dalla macchina promozionale di Netflix rispetto a titoli più convenzionalmente da award, del loro listino come Mank e Il processo ai Chicago 7 (Trial of the Chicago 7) o Ma Rainey’s Black Bottom sta acquistando profilo anche Sto pensando di finirla qui (I Am Thinking of Ending Things), di Charlie Kaufman.

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