Pare quasi che il califfo voglia farsi beffe di Baghdad. A poche ore dall’ammissione del premier iracheno al-Abadi della perdita a favore dell’Isis di 2.300 veicoli blindati Humvees a Mosul dopo la fuga dell’esercito lo scorso anno, ad abbattersi sul governo sono proprio degli Humvees.

A bordo, tre attentatori suicidi dello Stato Islamico e tanto esplosivo: si sono fatti saltare in aria in una base militare a sud di Samarra, città del governatorato di Baghdad, uccidendo almeno 38 tra poliziotti e militari. Un attacco alle porte della capitale con cui lo Stato Islamico ricorda al governo centrale quanto sapeva già: la minaccia islamista è concreta e più viva che mai. Soprattutto per l’utilizzo che di quella base viene fatto: da lì è gestita l’operazione militare per tagliare i rifornimenti all’Isis nella provincia di Anbar, teatro da giorni della stentata controffensiva governativa.

A disturbare i sogni di al-Abadi è l’andamento dell’operazione per la riconquista di Anbar. Sia per gli scarsi risultati che per l’escalation di settarismi e violenze religiose che si sta trascinando dietro. Secondo quanto riportato da funzionari provinciali di Anbar, in condizione di anonimato, per ora ben poco è stato realizzato: nonostante l’elevato numero di truppe dispiegate fuori da Ramadi, «non si è vista alcuna offensiva significativa contro i miliziani, una lentezza che ha deluso i residenti di Anbar».

E se Baghdad nega, elecando le piccole vittorie segnate la scorsa settimana, il timore che la forte presenza sciita potesse amplificare le divisioni interne al paese sembra diventare ogni giorno più concreto. Alcuni social network hanno pubblicato un video che mostra un uomo, sunnita, torturato e dato alle fiamme, da miliziani delle al-Hashed al-Shaabi, il potente gruppo sciita che sta guidando la controffensiva di Baghdad nella provincia di Anbar. Richiamati dal premier dopo la caduta di Ramadi, stanno infiammando le divisioni interne in un’area del paese a maggioranza sunnita, la stessa da cui da anni partono le più dure proteste sunnite contro il nuovo governo centrale. Tanto da convincere Baghdad a ritirarle da Tikrit, liberata due mesi fa dall’occupazione islamista.

A peggiorare una situazione già tesa sono gli ultimi bombardamenti compiuti dall’aviazione irachena contro la città di Fallujah, sempre ad Anbar. Da Fallujah iniziarono le manifestazioni sunnite contro il precedente e divisivo primo ministro, al-Maliki. Oggi torna epicentro dei settarismi, specchio dell’incapacità di Baghdad di risolvere prima di tutto la questione politica irachena, prima che quella militare: secondo fonti mediche, sarebbero 19 i civili uccisi e 28 i feriti in una serie di raid compiuti contro un’area residenziale, una moschea e alcuni mercati cittadini. Nessuna delle vittime sarebbe un miliziano dell’Isis. Testimoni hanno raccontato a Middle East Eye del lancio di bombe barile, vietate dal diritto internazionale di guerra.

E mentre i settarismi si infiammano, a lamentare la lentezza delle truppe governative sono le stesse al-Hashed al-Shaabi. In un’intervista al The Telegraph, il leader delle milizie sciite, Hadi al-Ameri, ha contraddetto i vertici del paese: le forze irachene non intendono riprendere subito Ramadi. L’idea che il capoluogo di Anbar possa essere attaccato nei prossimi giorni o settimane, come ripete l’esecutivo, «è risibile»: «Chiunque vi dica così è un bugiardo». La strategia delle milizie sciite è un’altra, un’operazione parallela a quella sbandierata da Baghdad, dice: isolare l’Isis dai centri abitati, creare una sorta di zona cuscinetto tra il centro del paese e il califfato e infine tagliare le vie di rifornimento islamiste nel deserto. Poi, si parlerà di Ramadi, si parlerà di Mosul.

Una presa di posizione significativa che dimostra l’enorme potere in mano ai gruppi paramilitari sciiti e all’Iran, il paese che da fuori – ma anche da dentro, con consiglieri militari e generali delle Guardie Rivoluzionarie – guida l’avanzata dei miliziani sciiti iracheni.

Sullo sfondo, quasi invisibile, resta il dramma del popolo iracheno: è salito a tre milioni il numero di civili rifugiati dentro e fuori dal paese. Un nuovo allarme è stato lanciato ieri dall’Unicef che definisce «la situazione umanitaria in Iraq prossima al disastro». Per questo l’agenzia Onu per l’infanzia ha lanciato un appello per raccogliere il prima possibile 500 milioni di dollari di finanziamenti per coprire «le operazioni di soccorso per i prossimi sei mesi».