E venne il giorno del film italiano in Concorso ufficiale internazionale. Gli asteroidi, esordio nel lungometraggio di Germano Maccioni, che ha accumulato esperienza e premi realizzando documentari e corti oltre all’avere affiancato Tatti Sanguineti nel suo gigantesco lavoro su Giulio Andreotti. Tatti che ritroviamo all’inizio di questo racconto nei panni di un sacerdote. Se ne sta nel confessionale, ascolta quel che gli racconta un giovane che però sta solo cercando di distrarlo. Non solo non è pentito dei suoi peccati, ma ne sta addirittura compiendo uno proprio in quel momento, perché un suo complice, sfruttando la disattenzione del prete, sta saccheggiando la chiesa. Siamo in pianura padana, il paesaggio e piuttosto piatto, interrotto ogni tanto da capannoni industriali, un tempo volano di ricchezza e benessere diffuso, oggi spesso ridotti a cattedrali nel deserto. Ormai sono pochi quelli che riescono a produrre ancora, cialde per caffè magari. In quella zona sospesa tra la via Emilia e il mare, come cantava Guccini, vivono alcuni giovani poco meno che millennials.

Pietro (Riccardo Frascari) ha perso il babbo suicida e l’industria di famiglia è allo sbando, Ivan (Nicolas Balotti) è irretito dai traffici loschi di Ugo piuttosto che farsi rinchiudere in fabbrica come vorrebbe suo padre sindacalista, poi c’è Cosmic (Alessandro Tarabelloni) visionario e artista, preoccupato perché un asteroide colossale sta per arrivare e potrebbe dissolvere l’intero pianeta, infine Chiara (Adriana Barbieri) la più quadrata del gruppo che si conosce e frequenta sin dall’infanzia.

Tutti giovani attori ai quali Maccioni ha contrapposto Chiara Caselli (la madre di Pietro) e Pippo Del Bono (Ugo) come figure mature ma irrisolte nel loro modo pur diverso di affrontare la vita. Un percorso cinematografico singolare attraversa la regione, che poi sono due, dall’Emilia alla Romagna, giusto per ricordarne alcuni, si può partire da Piacenza-Bellocchio passando per Parma-Bertolucci, Bologna-Avati per concludere a Rimini-Fellini.

Oggi però sembra essere la musica il linguaggio capace di esprimere al meglio gli umori di queste terre (anche se Ligabue ritorna al cinema). Anche il film di Germano Maccioni infatti rimane lì, un po’ irrisolto, nonostante una bella trovata prospettica nel finale.