Il cielo è azzurro in Albania. Un cielo spazioso che ci ha accolto a Durazzo dopo una notte passata in nave. Abbiamo fatto il viaggio al contrario. Giornalisti e folta delegazione di giovani artisti emozionati, «alla Biennale è d’obbligo andarci da sfidanzati», sottolinea Alessandro Stillo, uno dei fondatori storici della Biennale Giovani Artisti Europea. Racconta poi di Sarajevo, di Skopje e di mille altre rassegne pazzesche, fatte di energia e cuore e molti talenti che uscivano di casa e dai loro sogni in soffitta alla scoperta dell’Europa e di tanti altri come loro.
La Biennale giovani colpisce per il grande valore politico – oltre che artistico e umano – che l’Albania le ha riservato. Mirela Kumbaro ministra alla cultura in primis. Una donna forte e carismatica, prima nel suo ruolo a restare in carica per l’intero mandato. Convinta dall’attuale Primo ministro Edi Rama ad abbandonare momentaneamente il mondo accademico per intervenire in quello politico, che prima si limitava a criticare. «Se avessi rinunciato a quell’invito, poi non avrei più avuto il diritto di chiedere che le cose cambiassero sul serio. Il mio mestiere è fare la traduttrice letteraria e interprete in conferenze internazionali. Il mio campo è quello della comunicazione interculturale e si esplica soprattutto nelle relazioni con le università straniere. Ora, in qualche modo, lo faccio ancora, prendendo decisioni importanti per il mio paese in collaborazione con i miei colleghi del resto d’Europa e dei Balcani».
Kumbaro è stata parte attiva di tutto ciò che ha riguardato l’organizzazionedi questa Biennale. Anche lei era nel gruppo whatsapp dove in ogni istante arrivavano i messaggini con richieste di aiuto per questioni che andavano dalla luce elettrica, alle location per gli artisti, a tutto ciò che c’era e tutto ciò che invece mancava. Non è una che si tira indietro di fronte alle difficoltà. Soprattutto ha l’atteggiamento giusto. Sta sul campo ed è per questo che il suo nome riecheggiava positivamente tra tutti gli addetti ai lavori.

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UNA MOSTRA POLIEDRICA
È appassionata di entrambe le cose che è chiamata a curare, la cultura e il suo paese. «La cultura è uno spazio senza frontiere, fortunatamente non è né un fatto politico né esecutivo. L’Albania è fortemente rivolta a diventare una stazione importante per la comunità internazionale dell’arte. Siamo attenti alla nostra realtà ma non vogliamo in alcun modo rinchiuderci esclusivamente al nostro interno, anzi. Ricordiamo bene i tempi della dittatura in cui l’arte era sì molto sostenuta ma perché era il più grande strumento di manipolazione del regime. Stiamo riuscendo a produrre un sistema sostenibile attraendo partner internazionali e finanziatori. È finalmente giunto il momento in cui l’Unione Europea può smettere di sovvenzionare solo carceri in Albania! Per voi eravamo solo profughi, oggi siete voi i profughi che sono arrivati qui con una nave di artisti!».
È stata lei a individuare nel giovane 33enne Driant Zeneli il curatore ideale per mettere insieme le sfaccettate diverse anime della Biennale di Tirana, imperniata su un tema come la casa. Zeneli è parte di quella generazione che ha lasciato l’Albania per andare a studiare in Italia, dove si è distinto come artista. Casa dunque, intesa come appartenenza e anche come ritorno, Zeneli però non ama la drammatizzazione, «casa è quel posto dove stai bene – preferisce dire – Può essere anche un cellulare, una valigia. Abbiamo voluto riflettere su quattro argomenti in particolare: la storia, i conflitti, i sogni e i fallimenti. Tutti elementi imprescindibili della dimensione abitativa intesa in senso umano. Al ritorno preferisco il concetto dell’andare avanti». Vive in Italia da parecchi anni, un paese che, anche ai suoi occhi, è ormai una specie di lago con l’acqua stagnante, fermo, inabissato su se stesso. «l’Albania invece è un fiume in piena in cui tutto si muove e si crea, magari anche in maniera sbagliata, ma sempre inarrestabile. È pronta ad accogliere tutti coloro che siano in grado di portare energie nuove e assorbirle. È un cantiere, un laboratorio».

IL CANTIERE INARRESTABILE
Passeggiando per le strade super affollate di una Tirana piena di giovani, resa vivace da muri colorati a vista, di anziane che vendono cartocci di semi di girasole e piccole meline che assomigliano a olive, di strade ad alta velocità con terra brulla e mercati simil favela o super trendy. Sotto questo cielo disegnato da grandi e veloci nuvole bianche e sole che splende caldissimo, il vecchio e il nuovo dialogano costantemente con una lingua sconnessa e poco comprensibile.
Il bello e il brutto si confondono come solo in alcuni luoghi accade, lasciando addosso un senso di necessaria curiosità e voglia di arretrare di qualche passo rispetto alla velocità quotidiana, rispetto a quel margine di normalità diffusa, del tutto uguale ovunque si vada. Tirana è Balcani, India, Palermo, Bari…ma è anche Milano se non Francoforte, vista la quantità di banche ovunque e alberghi super lux e w-fi iper veloce. I giovani a Tirana parlano almeno quattro lingue e quando si incrociano con i nostri, emigrati questa volta per necessità contraria, danno loro quello stacco che non supereremo mai – di lingue noi ne sappiamo bene solo una ed è la nostra. La provincialissima Italia è a pochi chilometri di mare e si sta rimangiando tutto il razzismo becero di cui è stata capace, perché qui può stare meglio che a casa propria. Si guadagna bene, non ci si limita a sopravvivere. La prossima sarà l’estate albanese per quasi tutta la delegazione dei giornalisti italiani, avidi di starsene in modalità lux a poco prezzo. Un ottimo marketing questa Biennale. Empaticamente perfetta per il mondo dell’arte sempre pronto a un green wash catartico. E niente si sposa meglio con la santificazione finanziaria, umanitaria, economica, quanto la performance artistica – meglio ancora se di provenienza giovanile, fresca e carica d’energia pura.

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APPARTENENZE
L’installazione di gonnelline e pantaloncini rossi, simbolo dell’orfanotrofio di Bombay in cui ha trascorso una parte della sua infanzia Charusheela Pulito prima di essere adottata da genitori pugliesi, ci rimandano a questo, alla ricerca appassionata di una casa senza radici ma, in totale sintonia con Zeneli, senza drammatizzazione alcuna. «La mia appartenenza è la città Padova, il primo luogo dove ho iniziato a mantenermi da sola e quindi a costruire la mia vita».
Ad occuparsi della sezione History è stata la critica e curatrice Maria Rosa Sossai che ha utilizzato lo strumento del talk per mettere in sintonia artisti e pubblico di varia matrice in una forma di dialogo attivo. Ritirando le deleghe e mettendosi in discussione la dinamica è stata fresca, costruttiva. Ne è emersa la perdita di vigore delle parole in confronto ai fatti. Forse anche per quella costante che è data dal desiderio, pure necessario, di documentare, di stare dentro le cose, in qualche modo. In ogni modo. «Non esiste la storia – dice Sossai – quella che troviamo scritta non è altro che la selezione di dati scelti dal potere e che riguardano decisioni che il potere stesso prende. La gente non c’è, nella storia. Noi non ci siamo. Abbiamo però la possibilità di creare una piccola storia che resterà tra noi, tra chi ha partecipato e ha condiviso emozioni. Ciò che viviamo è un modo per sottrarsi alla manipolazione».