Cinque artisti internazionali si sono ritirati dalla Biennale di Sydney che sta per inaugurare il 21 marzo (titolo, You Imagine What You Desire). Sono Libia Castro, Ólafur Ólafsson, Charlie Sofo, Gabrielle de Vietri e Ahmet Ögut: nomi che pesano e che hanno rinunciato a partecipare perché l’importante rassegna sfoggia come main sponsor Transfield Holdings, tristemente collegata – in quanto azionista di minoranza nella Transfield Services – ai centri di detenzione per migranti. Ha vinto un appalto governativo, valore 1,22 miliardi di dollari, per la gestione, manutenzione e sicurezza delle strutture a Manus Island e a Nauru. Dopo la morte a Manus Island, il 17 febbraio scorso, del richiedente asilo iraniano Reza Berati e i tafferugli con feriti causati dagli scontri con la polizia, ben trentasette artisti hanno chiesto al cda della manifestazione culturale un segnale di dissidenza rispetto l’accaduto e invitato allarottura del rapporto con lo scomodo sponsor. Ma l’amministrazione ha risposto al sollecito negativamente. «Troppo complesso» tornare indietro ora, anzi impossibile, gli accordi finanziari vanno rispettati. Così, cinque fra i protestatari hanno deciso per il boicottaggio totale della Biennale, consigliando ai loro colleghi a fare lo stesso. «Abbiamo abolito le nostre opere, cancellato i nostri eventi pubblici e rinunciato all’onorario… Rifiutiamo la connivenza con una istituzioneche funge da collegamento attivo in una catena di associazioni che conduce fino alla violazione dei diritti umani. Per noi, tutto ciò è indifendibile». Via web è partito il tamtam: affinché la loro rivolta non passi inosservata, è stato chiesto che alcuni cartelli, all’apertura della kermesse, segnalino in sede l’assenza dei loro progetti.

Il presidente della Biennale di Sydney, Luca Belgiorno-Nettis ha definito le motivazioni degli oppositori «offensive, semplicistiche e mistificatorie», ma è pur vero che lui compare in veste di direttore esecutivo nella gerarchia della Transfield Holdings, quindi una parte in causa non da poco.

La decisione del ritiro delle opere è stata un colpo duro per l’organizzazione della rassegna, ma da Sydney hanno fatto sapere che si continuerà «a lavorare in queste ultime settimane per installare più di duecento opere, così da rispettare il patto stretto con il pubblico: sarà una Biennale di grande risonanza». Dalla Transfield, hanno direttamente rispedito il problema al mittente. «Non è affar nostro discutere con gli artisti».

Intanto, un altro sponsor della manifestazione, the City of Sydney (ha l’impegno di finanziare con trecentomila dollari le prossime tre Biennali), è entrato in stato di allarme e ha condannato la politica del centro di detenzione. La situazione rischia di farsi incandescente e il sindaco si è impegnato a scrivere al premier Tony Abbott e al ministro per l’immigrazione Scott Morrison per chieder loro il rispetto dei diritti umani in Australia, soprattutto nel caso dei richiedenti asilo.