A settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione italiana il processo di transizione dal fascismo alla repubblica rimane ancora da esplorare. Gli aspetti su cui continuare a riflettere riguardano non solo la radicale cesura costituita dalla sconfitta della dittatura, ma anche, all’opposto, le rilevanti continuità e i processi di rimozione collettiva che hanno a lungo posto un’ipoteca sulla vita della neonata democrazia italiana.

UN IMPORTANTE TASSELLO di questo mosaico è senz’altro la vicenda del ritorno in patria dei sopravvissuti italiani alla Shoah, oggetto di un recente libro di Elisa Guida, (La strada di casa. Il ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah, Viella, pp. 296, euro 29). La rilevanza del tema trattato dall’autrice è evidenziata da alcune delle domande a cui questo lavoro di ricerca tenta di dare una risposta. Come fu gestito a livello politico e istituzionale il ritorno a casa dei superstiti? Come fu percepita dagli italiani la condizione dei sopravvissuti alla tragedia della Shoah? Quali furono le condizioni materiali e psicologiche in cui si svolse il loro ritorno a casa? Quali i percorsi esistenziali delle vittime dell’antisemitismo, desiderose di un necessario quanto irraggiungibile ritorno alla normalità? Il libro, attraverso una ricerca articolata su più piani e in grado di incrociare diversi tipi di fonti, archivistiche e orali, ripercorre sia le vicende istituzionali, indagando il ruolo svolto dai vari attori in campo (il governo, i partiti, il Vaticano, la Croce rossa), sia i percorsi di vita dei sopravvissuti al lager, dando voce ai protagonisti della vicenda.
Un punto che il libro di Elisa Guida mette bene in luce è l’indifferenza, la superficialità e la disattenzione che spesso accompagnarono in Italia la gestione del ritorno dei sopravvissuti. Un atteggiamento testimoniato dalla lentezza e dalla difficoltà del rientro in patria, nonché dai tanti ostacoli incontrati dai superstiti nel ritorno a casa e nel recupero di una condizione di normalità.

IL MANCATO RICONOSCIMENTO della specificità dello status dei sopravvissuti alla Shoah fu probabilmente un aspetto della limitata presa di coscienza di ciò che il fascismo aveva rappresentato, nonché dell’incapacità del Paese di fare i conti con un passato così ingombrante. La rimozione del razzismo antiebraico si intrecciava peraltro con l’oblio del passato coloniale dell’Italia, con il suo carico di crimini, sopraffazioni e retoriche imperiali.
Il fascismo si era reso pienamente complice delle politiche di discriminazione e sterminio degli ebrei, a partire dalle leggi razziali del 1938. Un passaggio decisivo era stato il contemporaneo censimento degli ebrei italiani, reso possibile dalla collaborazione del Ministero degli interni e dell’Istat, allora presieduto da Franco Savorgnan (uno dei dieci scienziati italiani firmatari del Manifesto della razza). Dei quasi 50 mila ebrei italiani registrati da quel censimento all’incirca 6000 erano stati avviati verso i lager nazisti fra il settembre del 1943 e il febbraio 1945. Ne tornarono in Italia, a guerra finita, meno di 700.

ALTRO ASPETTO RILEVANTE della ricerca di Elisa Guida è l’attenzione al significato esistenziale del ritorno dei sopravvissuti: non solo un viaggio geografico, dunque, ma anche un percorso verso il recupero dell’umanità e dei legami sociali, annullati sistematicamente nel campo di sterminio. Dalla lettura del libro emerge con forza la complessità del processo di liberazione dalla disumanizzazione prodotta dal lager. Ne risulta confermata la natura concreta e materiale della libertà, legata com’è al necessario soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo.
«La libertà non è un dono di Dio. È un prodotto degli uomini in relazione agli altri uomini». Così afferma Piero Terracina nella sua testimonianza sull’esperienza del lager, raccolta dall’autrice. E prosegue: «per sentirmi davvero libero ho dovuto ricominciare a considerare normali le cose normali: abituarmi al fatto che ci avrebbero dato da mangiare tutti i giorni e che potevo dormire su un materasso, coprirmi con le lenzuola e camminare dritto». È un tema classicamente marxiano: come non è veramente emancipato chi non ha un certo livello di benessere economico, così non è realmente libero chi ha subito un grave trauma e non è nelle condizioni psico-fisiche di gestire la libertà di cui gode in termini astratti.