«Non me ne vogliano i cittadini dell’Aquila, ma Roma è una città terremotata, bombardata, in cui si vive con difficoltà – fa Guido Bertolaso su Repubblica Tv mentre cerca di spiegare la sua candidatura a sindaco di Roma per il centrodestra -. Chi la ricostituisce? C’è chi fa polemica e chi si è gettato a lavorare. Io ci ho messo la faccia e ho un curriculum. Gli altri?».

E infatti non gliene vogliono, gli aquilani. Non per questo. I cittadini del capoluogo abruzzese che nel 2009 venne distrutto dal terremoto, infatti, ricordano fin troppo bene l’allora «uomo della provvidenza», il «servitore dello Stato» che piaceva a destra e a sinistra, da Berlusconi a Rutelli, da Prodi a Gianni Letta – precursore del partito della nazione, sempre bagnato dall’acqua d’Oltretevere -, la personificazione stessa del «governo del fare», che applicava la «bertolasocrazia» (neologismo coniato da Giuliano Amato) per scivolare agile sul red carpet delle «emergenze» e dei «grandi eventi» che lo condusse dalla protezione civile al sottosegretariato di Stato e a un passo dal ministero con quale avrebbe potuto portare a compimento il sogno di trasformare il Dipartimento di via Ulpiano in Spa. Lo ricordano così bene, gli aquilani, che ieri hanno scritto una lettera aperta ai cittadini romani per «raccontarvi brevemente tutti i danni, le speculazioni e le ingiustizie che ha causato Guido Bertolaso sul nostro territorio».

Accuse dettagliate, paragrafate in «menzogne», «repressione», «speculazione» e «ipocrisia», che alcune associazioni (3e32 / CaseMatte, Appello per L’Aquila, Link Studenti Indipendenti L’Aquila, Unione degli Studenti, Legambiente e Asilo Occupato) rivolgono all’attuale candidato di centrodestra che però ancora non riesce a convincere del tutto la Lega, malgrado la buona volontà.

Ci ha provato ancora ieri, assicurando che «la prima delibera che da sindaco farò revocare» è il «bando del Campidoglio che consente la “legalizzazione” dei mercatini dell’usato all’interno dei campi Rom, di materiale proveniente spesso da furti e attività illegali». Matteo Salvini però pretende le primarie: «Non l’ho capito, a me non lo ordina il medico di appoggiare uno che dice certe cose sui Rom. – ribatte da Radio 24 – Ha elogiato Rutelli, un giorno ha detto che i Rom sono vittime e il terzo giorno ha parlato bene pure del candidato del Pd, che lo voterebbe. Io voglio abbattere i campi Rom, come fa Bertolaso ad amministrare con la Lega? Adesso scelgano i cittadini romani». È evidente che non si sono capiti, perché Bertolaso invece assicura di avergli parlato per telefono e di aver strappato a Salvini un: «Sì, punto su di te perché noi vogliamo vincere».

E ai romani si rivolgono gli aquilani, che se pure avessero la memoria corta non potrebbero in ogni caso dimenticare chi li ha costretti a vivere dove vivono ancora: nelle 19 new town disseminate in «un territorio più esteso del centro storico aquilano». Ricordano che «il 30 marzo 2009, una settimana prima del sisma, Bertolaso organizza a L’Aquila la commissione Grandi Rischi. “Un’operazione mediatica”, come la definisce lui stesso nelle intercettazioni, con lo scopo di “tranquillizzare la popolazione” e per effetto della quale molte persone sono rimaste serene nelle proprie case la notte del terremoto. Bertolaso è attualmente sotto processo con l’accusa di omicidio colposo plurimo, mentre il suo vice De Bernardinis è già stato condannato in via definitiva».

Ricordano quando, da «commissario per l’emergenza, ha utilizzato i suoi poteri per ostacolare in ogni modo la partecipazione e l’autorganizzazione, vietando assemblee e volantinaggi nelle tendopoli, trasferendo metà della popolazione in altre città e regioni, e reprimendo ogni tipo di protesta». Fino al «paradossale sequestro delle carriole utilizzate per le proteste». Ricordano le deroghe in emergenza sugli appalti che hanno fatto lievitare i costi del Progetto Case fino ai quasi «3mila euro a metro quadro», gli «isolatori sismici non collaudati e difettosi », i balconi crollati nelle palazzine «antisismiche» dopo soli 5 anni, e così via.

«Potremmo continuare per ore», scrivono. Ma poi, in fondo, basta una domanda: «Bertolaso, ma non ti vergogni neanche un po’?».