La data del 21 febbraio resterà a lungo impressa nella memoria di Vo’. Un anno fa, nel piccolo paesino sui colli Euganei in provincia di Padova, nessuno si sarebbe immaginato di ritrovarsi al centro dell’attenzione del mondo intero. Ma la morte di Adriano Trevisan, un uomo di 77 anni deceduto dopo dieci giorni di ricovero nel vicino ospedale di Schiavonia, cambiò tutto. Si trattava, infatti, del primo caso accertato di una vittima italiana per coronavirus. La conferma che molti temevano: lo spaventoso virus che aveva colpito la città cinese di Wuhan si stava diffondendo in Europa.
Nel tentativo di arginare immediatamente il contagio, il 22 febbraio il governo italiano dichiarerà zona rossa Vo’ e una decina di comuni attorno a Codogno, in provincia di Lodi, il focolaio più esteso in quel momento.
Ai diversi punti di ingresso della città di Vo’ vengono messi dei posti di blocco, con i militari a presidiarne i confini. Le aziende e le attività considerate non essenziali vengono chiuse. È un’anticipazione di quello che si sarebbe visto nelle settimane successive in tutto il paese, anche se nessuno ancora poteva saperlo.

LA SECONDA MORTE che colpirà la piccola comunità di Vo’ sarà quella di Renato Turetta, un uomo di 67 anni che con l’amico Adriano Trevisan giocava spesso a carte in uno dei bar del paese. «Tutti i contatti che mio padre e Trevisan hanno avuto, amici e famigliari, sono stati subito chiamati, prelevati con un’ambulanza e portati a Padova», racconta la figlia Manuela Turetta. Dopo i risultati dei primi tamponi, il piccolo ospedale di Schiavonia viene chiuso e i pazienti trasferiti nella più attrezzata struttura di Padova. «Ogni giorno il primario ci chiamava per farci sapere come stava. Poi è stato intubato». Renato Turetta morirà il 10 marzo, dopo tre settimane di terapia intensiva.
«Non ha avuto un vero funerale – ricorda Cristina Tosetto, moglie di Turetta – eravamo solo io, mia figlia, il prete e la sorella di Renato. Non in chiesa, ma qui, in cimitero».
I luoghi di culto erano chiusi a causa delle restrizioni dovute alla zona rossa. Al cimitero di Cortelà, una delle frazioni di Vo’, si arriva salendo, dopo un paio di tornanti. «Mio padre è stato portato qui direttamente dall’obitorio di Padova – racconta la figlia Manuela – È stato un alpino e gli alpini hanno fatto una piccola commemorazione in piazza in presenza del sindaco, chiedendo il permesso alle autorità, perché in quei giorni manifestazioni e raduni erano vietati».
«Questa mancanza totale di contatto è una cosa inumana, un trauma che si aggiunge al trauma», spiega lo psichiatra Diego De Leo, presidente della onlus De Leo Fund, tra le organizzazioni che parteciperanno alla commemorazione condotta dal sindaco Giuliano Martini e prevista questa mattina al municipio di Vo’, su cui verrà esposto un cuore tricolore realizzato a maglia. Un albero d’ulivo sarà piantato in una delle rotonde d’ingresso alla cittadina e ci sarà un collegamento in streaming con il comune di Codogno.

MANDERÀ IL SUO MESSAGGIO anche Andrea Crisanti, il microbiologo dell’università di Padova che qui ha condotto uno studio unico al mondo. I risultati ottenuti nella gestione della pandemia gli hanno dato una grande visibilità, facendolo diventare uno dei principali nomi di riferimento del dibattito nazionale. Nel corso del 2020 è stato nominato consulente tecnico per la regione Veneto e consulente nelle indagini per le morti nelle Rsa a Bergamo. Con il procedere dei mesi tuttavia, mentre il governo nazionale e la regione spingevano per l’attenuazione di molte misure di prevenzione, Crisanti ha criticato con forza la gestione considerata non abbastanza prudente, spesso in aperta polemica ad esempio con il presidente della regione Luca Zaia.

«PENSO SIA STATO il primo screening al mondo di un’intera popolazione. È molto importante, perché analizzando tutta una popolazione non si hanno fattori confondenti». Dopo la chiusura la regione Veneto decise di sottoporre a tampone tutti gli abitanti di Vo’ «e noi abbiamo chiesto se potesse essere effettuato un secondo screening a dieci giorni di distanza proprio per verificare l’effetto delle misure di controllo prese. Abbiamo dimostrato che in una situazione in cui tutta una comunità o un intero gruppo di relazioni viene testato, e sono isolati tutti i positivi, la trasmissione del virus praticamente si blocca. Abbiamo anche dimostrato che la trasmissione del virus era sostenuta in gran parte da soggetti asintomatici. Si è trattato di uno studio fondamentale per comprendere alcuni aspetti che poi si sono rivelati fondamentali per implementare misure di controllo».
La prima parte dello studio svolto dall’università di Padova in collaborazione con l’Imperial College di Londra è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature, nel giugno del 2020. Una seconda parte della ricerca verrà resa pubblica nelle prossime settimane: «abbiamo dimostrato che gli anticorpi durano almeno nove mesi e che le persone che li hanno sviluppati sono protette quando vengono esposte alla trasmissione del virus».

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L’EFFICACIA DELLE MISURE attuate a Vo’, fondate sull’isolamento dei positivi e sul tracciamento dei loro contatti, anche asintomatici, è stata la base del modello adottato dal Veneto che, soprattutto durante la prima ondata, è riuscito a limitare infezioni e morti. Efficacia che si è molto attenuata con l’arrivo della seconda ondata, anche per l’allentamento delle misure preventive, dopo la fine del lockdown nazionale a maggio. In Veneto, a settembre, le vittime erano poco più di duemila; con la seconda ondata, il totale ha superato i 9600 decessi, un decimo dei morti in Italia. «Penso che mai come in questo periodo la politica abbia dimostrato di non riuscire a dare risposte quando risponde a esigenze e interessi economici. Perde completamente la bussola – riflette Crisanti – Ora ci troviamo in una specie di limbo, c’è una grandissima attesa verso i vaccini e di fatto si è rinunciato a fare tantissime altre cose, pensando che sarebbero stati la soluzione. Ci accorgiamo però che questo simbolo salvifico ha anche dei limiti, questi vaccini sono molto complessi da fare, difficili da distribuire, non tutti funzionano, e poi ci sono le varianti. Sono vaccini da ricchi, richiedono una catena del freddo, è praticamente impossibile distribuirli nei paesi poveri».
In quelle concitate prime settimane di febbraio, «io già il 24 suggerii di chiudere tutta la Lombardia. Invece si è tergiversato per molto tempo: la vera chiusura della regione e del resto d’Italia avvenne praticamente un mese dopo. Questo testimonia, a mio avviso, l’inettitudine e l’incapacità di prendere decisioni della politica». Quanto all’allentamento delle restrizioni, «dopo due mesi di lockdown, quando a maggio avevamo pochissimi casi, di nuovo si è persa un’occasione per creare tutto un sistema di controllo e tracciamento, che ci avrebbe permesso di reggere l’onda d’urto di questa seconda ondata molto meglio. E invece si continua come se niente fosse, ci si dimentica che ci sono ancora 10-15mila casi al giorno e ancora centinaia di morti. Ricordiamoci che ogni malattia trasmissibile è potenzialmente prevenibile. Il fatto di avere tutti questi malati e tutti questi morti è la testimonianza di un fallimento totale».

VO’, TUTTAVIA, è riuscita a mantenere molto basse le cifre dei contagi e delle morti, trasformandosi in un prezioso laboratorio per lo studio del virus. «I deceduti per coronavirus sono stati tre durante la prima ondata, cinque in totale – spiega il sindaco Giuliano Martini – Abbiamo riscontrato solamente sei positivi nell’ultima settimana e i dati sono stati in continua diminuzione. Il massimo che abbiamo avuto sono stati 19 positivi, un quinto di quelli dei comuni confinanti».
Martini, eletto per la terza volta nelle ultime quattro elezioni nel 2019, a capo di una lista civica, si è trovato di fronte a difficoltà inaspettate. «Siamo stati di fatto isolati, come fossimo degli untori. Ma poi abbiamo dimostrato la nostra capacità di fare squadra, portando a fare i tamponi tremila persone in tre giorni in un comune così piccolo, con poche risorse e pochissimo personale. Tutto questo ha contribuito a rovesciare l’immagine negativa che Vo’ aveva all’inizio».