Una sezione inedita del festival del Cinema europeo di Lecce quest’anno è dedicato a un omaggio al Sessantotto con film scelti da Luciana Castellina e Carlo Verdone (I pugni in tasca, The Dreamers, One plus one, Après Mai, Fragole e sangue). Una strana coppia si direbbe, entrambi frequentatori del festival da anni, lei che del cinema europeo ha ricoperto cariche importanti, lui come rappresentante insieme ai fratelli Luca e Silvia del premio Mario Verdone dedicato al padre che ogni anno premia un esordiente del nostro cinema.
Mentre il rapporto di Carlo Verdone con il cinema nel ’68, come ha detto lui stesso era la scoperta dell’underground più sofisticato al Filmstudio di Roma (Markopoulos, Mekas Andy Warhol), pensiamo che Luciana Castellana in quell’anno (che lei preferisce declinare in lettere piuttosto che in numeri perché rende meglio il senso di qualcosa che è durata ben più di un solo anno) non avesse il tempo di entrare e uscire dalle salette off come faceva la maggior parte del movimento.
«Una cosa molto interessante, dice, è che tutti i film sul sessantotto sono tutti precedenti, nel senso che sono stati anticipatori di una cultura, di un modo di pensare, cioè sono tutti precedenti, come I Pugni in tasca che è del 1965: vuol dire che il cinema ha avuto una capacità anticipatrice di fenomeni sociopolitici molto importanti. Non è così per la letteratura, invece il cinema ha avuto questa capacità di preparare quella stagione. Infatti il meno riuscito di quei film per me è Dreamers che è stato fatto dopo, il titolo dice tutto.
Una cosa da notare è che in Italia nessuno tranne l’underground riusciva in quello stesso anno o subito dopo a rappresentare quello che stava succedendo
Sul 68 ci sono documentari da cui non si capisce niente, dove si vede solo gente che si picchia con la polizia e basta e non ci sono film posteriori
All’Università non si facevano entrare le cineprese, tranne le rare eccezioni di collettivi militanti.
All’Aamod, l’Archivio del movimento operaio e democratico, di documentari ce ne sono molti. Secondo me il film meno riuscito lo ha fatto un bravissimo regista, Munzi da cui non si capiva nulla di quello che era il ’68, gente che si picchia e che a un certo punto si denuda a Parco Lambro e litiga per un pollo arrosto. Ne scrissi anche sul manifesto. Un dibattito sui film di quell’anno sarebbe lunare, ognuno parlerebbe di una cosa diversa. Ho scritto un pezzetto di presentazione del programma fatto con Verdone. La cosa è nata perché anche lui ha scritto su Micromega sui due numeri dedicati al ’68, ci siamo incontrati alla presentazione all’Università. Lui ha scritto come uno che si è trovato in quell’epoca senza sapere niente, trovandosi lì per caso, ai margini, non politicizzato, interessante perché vive quell’atmosfera e vi partecipa
Però lui frequentava anche i teatri off, anche se all’epoca non era neanche diciottenne
È sempre qualcosa che ha a che fare con l’arte e non con la politica. Lui viene ogni anno al festival di Lecce per consegnare il premio dedicato al padre, così gli ho detto: perché non facciamo una piccola restrospettiva dedicata ai film del ’68? Così l’abbiamo ideata insieme e proposta insieme ed è stata felicemente accolta dal festival.
Tu che sei esperta di cose cinematografiche in quell’anno qual era il tuo rapporto con il cinema?
Era inesistente, avevo troppo da fare erano anni di militanza totale. Non eravamo ancora diventati protagonisti, l’uscita dal Pci avverrà l’anno dopo, però c’era un grande fermento, nell’agosto noi eravamo rimasti colpiti da Praga e quelli del Sessantotto non se ne interessavano per niente, anche questa è una verità che va detta. Non gliene importava perché Praga era una storia di comunisti e loro erano lontani, mentre noi eravamo lì con il cuore trapassato. Quasi tutti consideravano Dubcek uno di destra pericolosamente vicino al partito socialdemocratico, mentre nel partito erano tutti scossi perché era una vicenda drammatica del comunismo. Non è che il movimento fosse in favore dei carri armati sovietici, ma non li riguardava direttamente, quindi erano inerti. Io stavo a Botteghe Oscure e si riunì la riunione di direzione del partito (questa cosa l’ho raccontata nel libretto «La risata del Sessantotto») e si interruppe perchè si aspettava la telefonata di Longo che era in vacanza, e si trovava in vacanza proprio in Unione Sovietica. Quindi ci fu una lunga pausa, tutti erano nel corridoio e c’ero anch’io che pur non essendo in direzione stavo a Botteghe Oscure. In un capannello si diceva che era arrivata una dichiarazione del Psiup che era una dichiarazione quasi in favore dell’invasione, firmata anche da Vittorio Foa. Io dissi ad alta voce: «È arrivata la dichiarazione del Psiup, guardate!» e Ingrao mi dette un calcio negli stinchi perché aveva paura perché se la direzione vedeva che il Psiup era così timido, sarebbe stato ancora più timido, mentre invece la dichiarazione del Pci fu ancora più forte, molto più polemica.
Mi ricordo che la sera, quando si scioglievano le assemblee quasi in massa si andava al cinema, al Nuovo Olimpia, al Filmstudio, volevo sapere se anche tu frequentavi queste sale
Una cosa che ha preparato il 68 è stata proprio via Orti d’Alibert, il Filmstudio. Ma noi avevamo vent’anni di più, la nostra posizione del gruppo promotore del manifesto era diversa. Certo che andavo al cinema, ma non era il nostro motore principale, anche perché noi avevamo in quegli anni una vita molto intensa, perché erano gli anni in cui abbiamo preparato l’uscita dal Pci, erano momenti di grandi dibattiti, eravamo sempre in riunione. In particolare io stavo all’Udi, l’Udi reagì, capì il 68, il femminismo non è nato in quell’anno, è precedente. È qualcosa che va messa in risalto l’atmosfera avanzata che c’era nell’Udi.