A Genova nel Palazzo Ducale, sede duecentesca dei Dogi e attualmente centro della cultura cittadina, si è aperta da una settimana la Mostra “Gli anni del 68 – voci e carte dall’Archivio dei Movimenti”. “Gli anni” al plurale, non solo perché in Italia c’è stato un lungo 68 durato più di 10 anni, ma anche perché a Genova, come in altre città, il 68 è cominciato prima. Per i genovesi una data fondante dei movimenti e dell’antifascismo militante è il 30 giugno 1960, quando la città è scesa in piazza contro il governo Tambroni e l’annunciato congresso del MSI. Proprio dal 1960 comincia una cronologia ventennale riprodotta con la grafica d’impatto di Roberto Rossini su una delle pareti dell’ingresso, una lunga striscia che si snoda dalla morte di Lumumba alla minigonna di Mary Quant, dalla riforma del diritto di famiglia all’elezione di Margaret Thatcher.

Di fronte, nove collage e nove video con le interviste ad alcuni dei fondatori dell’Archivio dei movimenti (conosciuto familiarmente dai frequentatori come Archimovi) che raccontano come e perché hanno conservato il materiale documentario degli anni delle lotte. Sono le “voci d’archivio”, quelle raccolte da una giovane storica, Virginia Niri, il cui lavoro ha ispirato questa mostra.

Una tenda che riproduce una marea di persone ripresa di spalle si apre e il visitatore “entra” nella manifestazione e accede alle altre stanze. Qui comincia il viaggio nel lungo 68, fatto di spazi dedicati ai temi che hanno caratterizzato quel periodo: il volantino, allora il principale mezzo di comunicazione, le occupazioni di scuole, fabbriche e università, le lotte operaie, la critica all’autoritarismo di scuola, chiesa e famiglia, la scoperta dell’assemblea che sorpassava d’un balzo ogni strumento di rappresentanza. E poi i cattolici del dissenso che a Genova hanno segnato esperienze importanti contro la curia conservatrice del Cardinale Siri, come quella della Comunità del Carmine di Don Gallo.

Uno spazio di rilievo è dato al movimento femminista, nato all’interno del Manifesto e cresciuto nel più ampio movimento fatto di collettivi autonomi e coordinati tra di loro. Qui il discorso si svolge per parole chiave come rivoluzione (quella più lunga), autocoscienza, sessualità, aborto, lavoro, violenza sulle donne. Un piccolo spazio è riservato ai movimenti gay e lesbico, che a Genova non hanno avuto una grande rilevanza, e sono documentate esperienze e stili di vita alternativi che hanno caratterizzato le frange nomadi del movimento.

Una intera stanza è dedicata all’identikit e alla parabola dei gruppi extraparlamentari, non solo i più importanti, come Lotta Continua, il Manifesto, Potere Operaio, ma anche gruppi minori e piccole realtà locali, come i luddisti di Gianfranco Faina. C’è anche Lotta Comunista, più partito che gruppo, nato negli anni ’50 come nucleo del partito leninista rivoluzionario e che ancora oggi continua ad esistere.

Lo strumento di comunicazione principale della mostra è il collage di volantini, documenti e foto, accompagnati da una striscia di spiegazione, perché la mostra vuole essere anche didattica e prevede visite guidate di studenti. Ci sono poi le fotografie d’epoca, tante, alcune d’autore (Lisetta Carmi, Giorgio Bergami, Francesco Leoni, Pietro Tarallo, Adriano Silingardi) e i manifesti, inframezzati al materiale “grigio” della mostra, a cui poi è dedicata una intera coloratissima parete. Nel complesso, più di 600 documenti.

L’ultima stanza, la più difficile e la più dura, è dedicata alla violenza, anzi alle forme della violenza. Una gigantografia delle rovine della Banca dell’Agricoltura domina una parete come paradigma della strategia della tensione, mentre vari collage documentano il golpismo, la repressione, l’illegalità diffusa, la violenza nella e della fabbrica e la lotta armata. Mentre nelle altre stanze i visitatori parlano, ridono, si riconoscono nelle foto (i più vecchi), qui improvvisamente c’è silenzio. Le persone leggono le varie didascalie e guardano le immagini in un silenzio assorto.

Ci sono Vietnam, Cile, Palestina, Portogallo e poi la Grecia con il ricordo di Kostas Georgakis, lo studente che nel 1970, proprio davanti a Palazzo Ducale, a pochi metri dalla mostra, si diede fuoco gridando libertà per la Grecia.

Del resto non esiste pretesa di completezza né di interpretazioni storiche di quel che è stato un mosaico di ide e comportamenti, ancora poco studiato, come hanno dichiarato i curatori Giuliano Galletta, Roberto Rossini, Manlio Calegari e Sandro Ricaldone. Intanto la mostra documenta quanto, del 68, esiste presso l’Archivio dei movimenti e vuole dar conto anche di realtà genovesi oggi poco conosciute o dimenticate, come quella della Società di Cultura di Enrica Basevi o l’esperienza dell’Enciclopedia “Io e gli altri”, esempio di conoscenza critica offerta ai ragazzini degli anni 70 da un gruppo di intellettuali genovesi, illustrata da grandi artisti come Lele Luzzati e Flavio Costantini.

Per tutta la sua durata (27 gennaio – 26 febbraio), a latere della mostra, si svolgono altre iniziative: presentazioni di libri e video, esibizioni di cori con pezzi d’epoca, dibattiti e tavole rotonde, come quella di giovani storiche e storici che “allora non c’erano” ma che hanno fatto di quegli anni tema delle loro ricerche. A conclusione, il 24 febbraio, una tavola rotonda su “Storia e attualità del 68” con la partecipazione di Luciana Castellina, Toni Negri e Guido Viale.

(Il programma completo è sul sito www.archiviomovimenti.org).