Il rinnovamento economico e politico vissuto dall’Europa a partire dal secolo XII andava di pari passo con quello intellettuale, che transitava tanti centri sparsi per il continente: dall’Italia meridionale e la Spagna a contatto con il mondo arabo, alla Bologna del diritto, fino ai centri monastici come l’abbazia renana di Bingen, dove viveva la badessa Ildegarda, e alle scuole cattedrali fra le quali eccelleva quella di Chartres.
Lo studio non più soltanto della Scrittura, ma anche della natura e delle scienze fino ad allora considerate profane e secondarie, era caratteristico di tali ambienti. Non eliminava né sostituiva il culto per le antiche auctoritates: tuttavia, era viva la sensazione che la scienza dei moderni potesse superare quella degli antichi non perché migliore, ma in quanto non condannata alla ripetitività del commento.

LA CELEBRE ESPRESSIONE «nani sulle spalle dei giganti» emerse in tale contesto. Fra le nuove scienze una stava assurgendo al rango di chiave del sapere: la logica. Insegnava il metodo con il quale tutte le attività intellettuali andavano affrontate, inclusa (tema scottante) l’esegesi delle Scritture. A differenza del vecchio metodo basato sul commento letterale, si cercavano i criteri atti a comprendere con l’aiuto della sola ragione umana quel che era giusto e quel che non lo era.
Alla base di questo rinnovamento, c’è Pietro Abelardo: fra le sue opere il Sic et Non, vero manuale di logica nel quale si insegna come organizzare razionalmente le scelte intellettuali opponendo argomento ad argomento. Abelardo era avversato dai tradizionalisti: Bernardo di Clairvaux lo accusava di spargere il veleno della sua filosofia che infirmava le basi della fede. Tuttavia, le prime compilazioni di diritto canonico, come il Decretum del monaco Graziano, vennero compilate seguendo la logica abelardiana, vero fondamento della Scolastica.

Pietro Abelardo era nato a Pallet presso Nantes nel 1079. Avviatosi alla carriera ecclesiastica secolare (la sola che permettesse di proseguire gli studi), Abelardo studiò a Tours e a Loche, ed ebbe come suo maestro il più grande filosofo del «nominalismo» (corrente filosofica di origine stoica, ma sviluppatasi a partire dall’XI secolo e portata all’apogeo da Guglielmo di Occam) del tempo, Roscellino. Si trasferì poi a Parigi, che stava diventando una delle grandi città di cultura del mondo occidentale. Ivi ebbe come maestro Guglielmo di Champeaux, ma non tardò a entrare in conflitto con lui. Era deluso del suo insegnamento, rispetto al quale si sentiva superiore, e ne era naturalmente ricambiato con astio. Cominciò con l’aprire scuole sue proprie, a Melun e poi a Corbeil; ma nel 1114, a circa trentacinque anni, tornò a Parigi dove prese a insegnare nella scuola situata sulla montagna di Sainte-Genéviève, piccolo poggio a sud della città che doveva diventare la celebrata sede universitaria cittadina: ai suoi piedi sorse poi la Sorbona.

LA NOVITÀ E L’ARDITEZZA dei metodi e delle idee di Abelardo ne fecero una specie di simbolo dello studioso libero e spregiudicato. Ne rimase affascinata una giovane intellettuale, Eloisa, la nipote di un canonico della cattedrale, Fulberto, presso il quale Abelardo aveva preso dimora.
La sua data di nascita è incerta: doveva essere di 10/15 anni più giovane di Abelardo. Proveniva da una famiglia aristocratica, ma era una figlia illegittima, dunque non destinata a un grande matrimonio; la madre l’aveva affidata allo zio Fulberto affinché studiasse, e in effetti le sue doti intellettuali erano notevoli: aveva appreso il latino, il greco, l’ebraico, e componeva canzoni che venivano cantate dai goliardi parigini.
Nel 1114 i due cominciarono una corrispondenza che si trasformò subito in una relazione. Erano spiriti gemelli, ed era la mente la prima cosa a unirli, o almeno è ciò che Abelardo rievocherà anni dopo, scrivendo a un amico: «Viveva allora a Parigi una giovane di nome Eloisa, nipote di un canonico, Fulberto. (…) Se per aspetto non era tra le ultime, per la profonda conoscenza delle lettere era la prima».

IL LORO RAPPORTO fece subito il giro di Parigi, e forse la coppia non faceva molto per nascondersi. Come scriverà Eloisa: «Preferivo la libertà dell’amore al vincolo coniugale», per poi rincarare la dose citando i classici dell’antichità per rigettare l’idea del matrimonio. A favore di Abelardo, Eloisa ricorda l’esempio di Cicerone che «dopo aver ripudiato sua moglie Terenzia rispose ad Irzio, che gli proponeva in sposa sua sorella, di lasciarlo in pace poiché non poteva dedicarsi con uguale impegno a una moglie e alla filosofia».

È ASSAI PROBABILE che, fra i due, fosse proprio Eloisa ad abbracciare l’idea di una relazione puramente amorosa, scevra dai vincoli della condizione e delle convenzioni, accompagnata da un rifiuto quasi fisico della vita familiare e della maternità: «Chi, mentre è intento nella meditazione di argomenti sacri o filosofici, può sopportare i pianti dei bambini, le nenie delle nutrici che cercano di calmarli, la folla rumorosa dei servi, uomini e donne, come può tollerare la sporcizia dei neonati, repellente e continua?». È un passo nel quale parla della necessità intellettuale di Abelardo, certo, ma nel quale non è difficile intravedere anche le sue stesse esigenze primarie.
Tuttavia, nel 1116 Eloisa rimase incinta e diede alla luce un bambino al quale venne posto non già (com’era uso) il nome di un santo del calendario cristiano, bensì quello di uno strumento per l’osservazione delle stelle, Astrolabio; egli seguirà poi la carriera ecclesiastica. La scelta di questo nome è emblematica dell’atmosfera di esaltazione culturale e sensuale nel quale Eloisa e Abelardo vivevano in quegli anni. Subito dopo, però, i due si unirono segretamente in matrimonio: Abelardo aveva concordato la scelta riparatrice con Fulberto, nonostante né lui né tantomeno Eloisa fossero disposti a intraprendere una vita secondo le regole del tempo. Serbarono infatti segrete le nozze, Abelardo perché voleva mantenere il canonicato che gli consentiva di esercitare la sua professione, Eloisa per assecondarlo, e forse per non assoggettarsi a un destino che aveva riifutato. Bisogna tenere presente che, se all’epoca il celibato dei preti era ancora una novità tutt’altro che generalmente accettata, il papato faceva pressione affinché diventasse la norma.

I DUE VIVEVANO SEPARATI e si incontravano in segreto come se fossero amanti; a quel punto lo zio di Eloisa, sentendosi tradito, concepì una vendetta atroce: diede incarico a dei sicari di evirare Abelardo. Il fatto non rimase senza conseguenze; il mandante venne privato dei beni, gli esecutori materiali a loro volta castrati e anche accecati. Tuttavia, la relazione amorosa ormai era impossibile. Abelardo si avviò alla carriera monastica, e così fece anche Eloisa, che divenne badessa del monastero del Paracleto, nella diocesi di Troyes. Gli scambi epistolari però non cessarono. Con maggior fervore da parte di lei che, in una lettera, lo rimprovera di esser stato mosso dalla concupiscenza più che da vero amore: dal punto di vista di Eloisa, insomma, la relazione avrebbe dovuto andare avanti anche in quelle condizioni.
Ancora innamorata, dopo la morte di lui, sopravvenuta nel 1141, otterrà di farne trasportare le spoglie in una cappella adiacente al Paracleto. Lo raggiungerà nel 1164. Insieme con la poesia dei trovatori, la vicenda di Eloisa e Abelardo testimonia dello sviluppo, se vogliamo dell’invenzione dell’amore moderno. Nel loro caso, tuttavia, la realtà e la tragicità della vicenda biografica fanno sì che più di qualsiasi poeta siano il segno del rinnovamento, anche emotivo, di un’epoca segnata da cambiamenti profondi. Dal 16 giugno 1817, ossia in pieno romanticismo, la coppia viene traslata e inumata al Père Lachaise.