Nella serata di ieri, mentre in India era già notte fonda, è arrivata un’inaspettata svolta nel caso dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, trattenuti in India da ormai più di 600 giorni per l’ipotesi di omicidio di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, due pescatori indiani uccisi dai colpi provenienti dalla petroliera Enrica Lexie.
Dopo settimane di braccio di ferro diplomatico, pare che il Ministero degli Interni indiano abbia infine accolto la richiesta di interrogare tramite videochiamata gli altri quattro fucilieri di Marina a bordo della petroliera italiana al largo del Kerala il 15 febbraio del 2012. Staffan De Mistura, inviato speciale del governo al quale è affidata la gestione del caso, raggiunto al telefono per una conferma a riguardo ha dichiarato «no comment, non posso né confermare né smentire».

La deposizione dei sottufficiali Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte è l’unico tassello mancante alla conclusione delle indagini da parte della National Investigation Agency (Nia) indiana, la polizia federale alla quale la Corte suprema, lo scorso gennaio, ha affidato il compito di rivedere le indagini precedentemente redatte dalla polizia del Kerala. Secondo un impegno scritto stipulato tra Delhi e Roma nel 2012, quando Giulio Terzi era ancora ministro degli Esteri, l’Italia si era impegnata a mettere a disposizione delle autorità indiane tutti i testimoni dell’incidente occorso tra l’Enrica Lexie e il peschereccio St. Anthony.
Nei mesi scorsi tutto il personale civile a bordo della petroliera si è recato in India per deporre davanti agli inquirenti della Nia ma il governo italiano, siccome dal momento della firma davanti alla Corte suprema «è passata molta acqua sotto i ponti», si è fermamente rifiutato di mandare i quattro sottufficiali in territorio indiano, di fatto bloccando le indagini e l’inizio di un processo atteso ormai da quasi un anno.

La reticenza italiana davanti alle richieste indiane deriverebbe dagli esiti delle indagini preliminari delle autorità indiane, contenuti anche nel rapporto interno redatto dall’ammiraglio Piroli nel maggio del 2012 e pubblicato a quasi un anno di distanza da Repubblica. Secondo la perizia balistica depositata in tribunale dalla scientifica del Kerala, i proiettili rinvenuti nei corpi di Binki e Jelastine erano compatibili con le armi in dotazione al Nucleo militare di protezione del battaglione San Marco, ma le matricole dei due fucili incriminati non sarebbero quelle di Latorre e Girone, bensì di altri due marò, Renato Voglino e Massimiliano Andronico.

Da qui la rigidità delle autorità indiane nell’assicurarsi che i quattro fucilieri siano sì a dispozione degli inquirenti indiani, ma al sicuro in territorio italiano. Un’eventuale interrogatorio in India avrebbe dato l’opportunità a Delhi di procedere con altri fermi, complicando ulteriormente il confronto diplomatico. Delle opzioni avanzate da De Mistura – deposizione scritta, videoconferenza o personale della Nia in Italia per l’interrogatorio – il ministero degli Interni indiano pare abbia optato per la videoconferenza che, secondo le indiscrezioni, dovrebbe svolgersi l’11 novembre.

Con quest’ultima serie di deposizioni, la Nia dovrebbe avere tutti gli elementi per formulare il documento dell’accusa necessario per istruire il processo, affidato dalla Corte suprema a una Corte speciale creata ad hoc, una consuetudine nel diritto indiano in casi particolarmente complessi a livello giuridico o di interesse nazionale.
Stando alla sentenza della Corte suprema del gennaio scorso, la difesa dei marò potrà sostenere la prerogativa italiana per la giurisdizione del caso, spostando quindi tutti gli atti a Roma. In caso contrario, il sipario calerà sulla vicenda in territorio indiano.