L’Italia ha ancora una buona base industriale, ma a bassa tecnologia e con pochissime grandi imprese. Eppure la principale strategia di politica industriale della legislatura è stata «Industria 4.0» – diventata a fine 2017 «Impresa 4.0» –, lanciata con la legge di Bilancio 2017 per diffondere nelle imprese nuove tecnologie come robotica e automazione, cloud computing, big data, sensori, stampanti 3D. È una strategia di estrema automazione che riduce il lavoro umano, anche nelle attività di servizio.

Impresa 4.0 ha come obiettivi prioritari l’aumento degli investimenti delle imprese (circa 10 miliardi di euro nel 2017-2018), della loro spesa in ricerca e sviluppo (11,3 miliardi tra 2017 e 2020), l’avvio di nuove start-up. Gli strumenti messi in campo tivi sono essenzialmente gli sgravi fiscali già introdotti, che vengono accentuati per le attività e tecnologie legate appunto a Industria 4.0.

Gli sgravi fiscali per gli investimenti in macchinari salgono così dal 140% al 250% dell’ammortamento del costo delle macchine acquistate. Inoltre, un terzo dei fondi previsti per i benefici fiscali per l’acquisto di macchinari è destinato alle attività di Impresa 4.0. Una quota analoga riguarda le risorse per i Contratti di sviluppo nelle aree di crisi industriale.

Nel 2018 sono introdotti anche benefici fiscali per la formazione dei dipendenti coinvolti nelle tecnologie di Impresa 4.0 e risorse per la formazione tecnica superiore. Si possono stimare in circa 2 miliardi le risorse che potrebbero finanziare queste misure tra 2017 e 2020. Accanto a queste ci sono gli investimenti (3,5 miliardi tra il 2017 e il 2020) per le infrastrutture digitali e la rete a banda larga. Risorse di tali entità vengono distribuite con gli automatismi delle detrazioni fiscali.

Se da un lato Impresa 4.0 porta l’attenzione sull’arretratezza tecnologica dell’industria italiana, dall’altro le modalità e la direzione di questa strategia sono molto discutibili. Concentrare gli incentivi sulle tecnologie dell’automazione e del digitale, infatti, vuol dire avere in Italia un numero assai ristretto di imprese – spesso già avanzate e innovative – capaci di cogliere le opportunità offerte da queste misure.

Il problema italiano è invece la scarsa attività innovativa della parte centrale delle imprese, più piccole e meno avanzate, che non hanno strutture e competenze interne (si pensi al basso numero di laureati nella maggior parte delle imprese industriali) per avventurarsi sul terreno incerto del digitale e dell’automazione.

In questo contesto, Impresa 4.0 non è lo strumento più adatto per far crescere l’insieme dell’industria del paese. Ma, soprattutto, la direzione del cambiamento imposta da Impresa 4.0 è sbagliata: porta l’economia verso sistemi produttivi automatizzati, concentra il potere di controllo nelle grandi imprese – che spesso non sono nemmeno più italiane –, esclude il lavoro e ne trascura le competenze e il ruolo, con il rischio di aggravare le perdite di occupazione e alimentare le disuguaglianze di reddito.

*Campagna Sbilanciamoci!